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The Warrior and The Wolf
Roma zoofila. Dopo l'amore cinofilo di Gere (Hachiko: A Dog's Story), ecco la passione bestiale (da lupi) raccontata da The Warrior and the Wolf di Zhuangzhuang, tra i più importanti registi cinesi del momento (di lui ricordiamo The Go Master, in concorso alla prima edizione del festival capitolino), e qui semplicemente non all'altezza della sua fama. Film di matrice letteraria, ambientato nella Cina imperiale, durante le decennali guerre ordinate dalla dinastia Han per sottomettere le tribù ribelli, che si nascondono tra le montagne. Un incipit che ricorda certo cinema di Tsui-Hark, con quelle armature pesanti, le grida ferine, le pelli acconciate e quelle squartate dalle spade. Promettente epica barbara, concitata e frammentata, e un'affascinante manipolazione del tempo, che danza con disinvoltura (e senza marche stilistiche) tra passato remoto, passato prossimo e presente, mentre si restringe l'obiettivo sulla figura di Lu (Joe Odagiri), un tranquillo pecoraro assoldato dall'esercito del re che finisce comandante in capo delle truppe mentre battono la ritirata con l'arrivo dell'inverno e della neve (siamo nel rigidissimo deserto del Gobi). E qui si ritrae anche il film. La stazione di sosta è un inquietante villaggio abitato dalla tribù maledetta degli Harran, che vivono sottoterra e si tramutano in lupi se tradiscono le regole del gruppo. Destino che si abbatte su Lu, reo di aver sedotto una misteriosa vedova (Maggie Q), membra del gruppo e trasformata in lupa anche lei. Doveva essere la svolta - lungamente attesa! - della sceneggiatura, e invece si rivela un vicolo cieco dove vanno a sbattere personaggi dati per morti (il generale Zhang, vecchio amico di Lu), situazioni poco chiare e resistenze dello spettatore, già ampiamente provate da un'ora e passa di film. Scenografie e immagini di grande impatto visivo per carità, ma la bella confezione non nasconde la gradita sorpresa, semmai uno di quei modellini a pezzi che si trovano nei famosi ovetti K.: troppo complicati da montare per i piccoli, e assai superflui per i grandi.