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Che cosa succederebbe se una navicella aliena atterrasse sul nostro pianeta proveniente dalle profondità insondabili dello spazio siderale? Quali reazioni potremmo attenderci dalle autorità, quali dall’opinione pubblica? E quali, infine, sarebbero le ripercussioni sulla concezione che l’umanità ha costruito, nel corso dei millenni, di se stessa e del cosmo intorno a sé? Tutti questi interrogativi sono posti al centro dall’esperimento di documentario firmato da Michael Madsen (danese, ogni collegamento con l’attore feticcio di Quentin Tarantino è puramente casuale), che indaga su due aspetti cruciali del pensiero e dell’immaginazione umana: il terrore dell’ignoto e l’ansia di conoscenza che da sempre circondano il tema di un potenziale incontro con una civiltà aliena.
Madsen è bravo a imbastire la finzione della catena di eventi che un effettivo sbarco alieno potrebbe scatenare a livello globale, tra precauzioni militari e pericoli di derive allarmistiche fomentate dalla stampa sensazionalista. Il “contact”, in senso spielberghiano, lo si capisce fin da subito, è in realtà un pretesto per una riflessione a tutto tondo sull’umanità, i suoi pregi (ben pochi e sostanzialmente riassunti nella smania di conoscere), i suoi difetti (c’è bisogno di elencarli?), e da ultimo la sua direzione, quello che più volgarmente chiamiamo destino. Per l’occhio affamato di spettacolo a buon mercato, intendiamoci, c’è ben poco: il documentario è diretto in maniera consueta, con interviste, immagini di supporto alla voce narrante e musica d’atmosfera. Per gli assorti contemplatori di stelle, invece, c’è abbastanza di che alimentare i propri sogni.