Tredici anni dopo il suo ultimo lungometraggio (Detachment - Il distacco), il britannico Tony Kaye porta in anteprima mondiale (e senza alcun distributore) in concorso alla Festa di Roma The Trainer, progetto tanto folle quanto strampalato che, però, può vantare una serie di partecipazioni speciali non indifferenti, da Lenny Kravitz a Paris Hilton, da Gus Van Sant a John McEnroe, passando per Bella Thorne e Gina Gershon.

All'origine di tutto c'è Vito Schnabel (mercante d'arte e attore nonché figlio del più celebre Julian, pittore e regista), autore dello script e attore protagonista: è il fisicato ed eccentrico Jack Flex, "esperto di fitness" e inventore di un heavy hat, "cappello pesante" che a suo dire sarebbe in grado di rinforzare i muscoli del collo e di potersi allenare senza più spendere soldi per le palestre.

Quando si presenta l'opportunità di avere uno spazio live su un seguitissimo canale di televendite, Jack farà di tutto per cercare di ottenere l'endorsement da parte di alcune celebrità che gli capitano a tiro. Inanellando una serie di menzogne che non risparmiano neanche la bella Bee Luciani (Julia Fox), receptionist della tv che finisce per innamorarsi di lui.

Il regista Tony Kaye
Il regista Tony Kaye

Il regista Tony Kaye

Sono lontanissimi i tempi di American History X (1998), film di culto per non pochi, che lo stesso Kaye rinnegò - cosa che gli procurò non pochi problemi a Hollywood - salvo poi scusarsi di quel comportamento negli anni successivi: The Trainer sembra volerlo portare in una dimensione più libera e "incontrollata" rispetto ai suoi canoni precedenti, pieno zeppo com'è di dialoghi che si sovrappongono alle immagini rutilanti e ossessive che non danno respiro tanto alla storia quanto ai suoi personaggi, tutti a loro volta "soffocati" dalla perfomance logorroica e insostenibile del protagonista, Vito Schnabel, cialtrone ai limiti dell'insopportabile deciso come non mai a inseguire, e realizzare, il suo American Dream.

Il film - satira plateale tanto sul sogno americano quanto sull'ipocrisia dello showbiz e della società dei consumi - ne risente a sua volta, divertente quanto si vuole alle prime (soprattutto nei momenti in cui McEnroe e Kravitz cercano di levarsi di torno il ciarlatano), mai noioso, ma non per questo realmente compiuto. E non bastano né l'apparizione dello stesso Kaye in quanto Urug ("Guru al contrario"...) né quel capovolgimento del prefinale in diretta nazionale.