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The Shadowless Tower
Il cinquantenne o giù di lì Gu Wentong (Xin Baiqing) è un critico gastronomico in ristrettezze economiche. Vive a Pechino, nel vasto distretto di Xicheng, nelle vicinanze del Tempio Miaoying. Divorziato, ha una figlia, Smiley, che ha deciso fosse sua sorella e il cognato a crescere. A causa di un incidente – accuse di molestie sessuali - che ha distrutto la famiglia, non ha più contatti con il padre da quando era bambino. Un giorno scopre che il genitore vive da solo a Beidaihe, una città costiera a 300 chilometri a nord-est di Pechino. Nel mentre inizia una difficoltosa relazione con la più giovane Ouyang Wenhui (Huang Yao), fotografa originaria di Beidaihe. Wentong inizierà a riconsiderare i suoi ruoli di padre, figlio e amante.
The Shadowless Tower, dal nome del tempio Miaoying, è un film che riflette sui sentimenti al cospetto del tempo, sulla memoria di fronte agli affetti, su quel che passa, scordato, e quel che rimane, rimosso: in competizione a Berlino 2023, è diretto da Zhang Lu, regista cinese classe 1962, autore di una decina di lungometraggi, di cui Desert Dream, Dooman River e Fukuoka già in cartellone al festival tedesco.
Del tempio, Gu Wentong dice a Ouyang Wenhui, non si vede l’ombra perché cade lontano, sull’altopiano tibetano, ed è l’indizio di un altrove – e la possibilità del recupero.
Il voltaggio è esistenzialista, l’ironia non accantonata, un “non so che di francese” esplicito, sicché Bai To Zhi Guang, titolo originale, si fa decisamente apprezzare malgrado le quasi due ore e mezza di durata: sospensione dinamica, frammenti di dialogo non solo amoroso (Barthes è citato), persistenza spirituale, latenza conflittuale, è dramma colto e fragile, ponderato e sottile, pieno di cinema – una grammatica tanto elementare quanto fascinosa di quadri nel quadro, campi medi, specchi e CCTV – e di vita. Un po’ à la Drive My Car.
Con quel che stiamo, per ora, vedendo a Berlino 73., non è tanto: è tutto.