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The Reason I Jump
È un doppio documentario The Reason I Jump: da un lato, il film di Jerry Rothwell presentato alla Festa del cinema di Roma racconta le vite di alcuni ragazzi autistici che non parlano o non comunicano compiutamente con le parole e del modo in cui possono esprimersi; dall’altro, come il titolo afferma, descrive l’importanza che per le famiglie di quei ragazzi ha avuto l’omonimo libro di Naoki Higashida.
Higashida è infatti un ragazzo gravemente autistico che a 13 anni, dopo aver imparato a comunicare tramite una tastiera di carta, ha scritto un libro che ha permesso a genitori, educatori e studiosi della malattia di avvicinarsi al mondo tumultuoso di quella malattia la vive ogni giorno dentro di sé.
Rothwell parte da David Mitchell, colui il quale ha tradotto, con la moglie Ka Yoshida, ed esportato nel mondo il libro e parte da lui perché è il perfetto connubio tra i due documentari: entrare nel libro e avvicinarsi all’autismo, avendo Mitchell un figlio che soffre degli stessi disturbi di Higashida (di cui vengono letti vari brani nel film).
Di base è un documentario motivazionale, che fa conoscere una realtà poco mostrata e ispira chi quella realtà la vive, per cui Rothwell cerca spesso l’emotività, come primo mezzo di comunicazione (le musiche di Nainita Desai, il montaggio di David Charap); ma The Reason I Jump riesce anche a sondare il testo di Higashida cambiandolo di linguaggio, ribaltandolo quasi.
The Reason I JumpCome il ragazzo dava forma verbale a stimoli e sensazioni che con la parola non avevano nessi, Rothwell cerca di stabilire il primato dei sensi sul linguaggio attraverso il cinema: i dettagli degli oggetti che assumono dimensioni e sembianze inusuali, il suono e i rumori, dando forma cinematografica - o provandoci - al caos apparentemente disarmonico che può sembrare la mente di un autistico.
Viene quasi da pensare a Paese del silenzio e dell’oscurità, bellissimo documentario di Werner Herzog sulla vita dei sordo-ciechi: lo stile di Rothwell è lontanissimo da quello del tedesco, ma anche in The Reason I Jump, come in molti documentari di Herzog, si sente la ricerca verso uno stato dell’immagine e della regia in cui poter mostrare l’altrove che si cela in ogni immagine reale. Entrando così in contatto con persone che pensavamo escluse dal mondo.