“Phil diceva che una notizia è la prima bozza della Storia”. Katharine Graham (Meryl Streep) aspetta la fine del film per confidare a Ben Bradlee (Tom Hanks) una frase del marito, Phil, morto suicida anni prima, dal quale ereditò il comando del Washington Post.

Prima donna alla guida del quotidiano, in una società dove di norma i ruoli di potere sono appannaggio degli uomini, Kay Graham si ritrova nel 1971 a dover prendere una difficile decisione: pubblicare o meno i “Pentagon Papers”, documenti che nascondono la copertura di segreti governativi riguardanti la Guerra in Vietnam, tuttora in corso sotto la presidenza Nixon.

Da una parte le insistenze del direttore Bradlee, convinto senza mezzi termini che non pubblicare quella notizia comporterebbe la morte “ideale” del quotidiano stesso, dall’altra le istanze dei consiglieri e dei soci di maggioranza della testata, da pochissimo entrata in Borsa, più orientati a non divulgare quei documenti per mantenere una condotta di prudenza nei confronti tanto del Governo, quanto degli investitori.

Ogni notizia, tornando alla citazione iniziale, è la prima bozza della Storia. E il cinema di Steven Spielberg, ancora una volta, è la Storia che torna a compiersi sotto i nostri occhi: The Post, soprattutto per questo, è un film bello e necessario. Capace di raccontare un fatto noto mettendosi sul piano degli attori che in quel momento storico lo hanno vissuto, ma non per questo dimenticandosi degli spettatori (soprattutto i più giovani) che, oggi come oggi, non hanno ben chiaro quale fosse il peso e l’autorità che gli organi di stampa avessero (e dovrebbero avere tuttora) nell’(in)formare l’opinione pubblica.

The Post
The Post
The Post

“Strumento al servizio dei governati, non dei governanti”: partendo dal personaggio cruciale dell’intera vicenda (Daniel Ellsberg, interpretato da Matthew Rhys, dapprima reclutato dal ministro della Difesa Robert McNamara - Bruce Greenwood - per contribuire allo studio sull’impegno americano in Vietnam, fu lui che nel ’71 consegnò tutto il materiale al New York Times, primo quotidiano a dare il via allo scandalo dei “Pentagon Papers”, pubblicazione che portò il presidente Nixon a chiedere un’ingiunzione nei confronti del giornale) e concludendosi con lo scasso notturno che portò poi al successivo scandalo USA noto come il “Watergate” (reso celebre dal film di Alan J. Pakula, Tutti gli uomini del Presidente), The Post è boccata di grande cinema classico nell’era dell’informazione ridotta alla velocità di un tweet o di qualche improbabile fake news. Ma non solo.

Perché alla magnifica sceneggiatura di Liz Hannah e Josh Singer, e al film di Spielberg, non interessa demonizzare quello che i media sarebbero diventati, piuttosto esaltare tutto il processo – strategico, politico, umano, fisico (che bellezza quando il cinema si sofferma sulle rotative…) – che si nasconde(va) dietro la pubblicazione di una prima pagina, e di un quotidiano tutto.

 

E ricordare come il Washington Post, guidato da un editore donna – e che dal New York Times riuscì abilmente a prendere il testimone di quell’inchiesta che lo Stato avrebbe voluto bloccare – oltre ai Pentagon Papers fu il primo quotidiano a portare a galla il Watergate, scandalo che costrinse il presidente Nixon alle dimissioni. Lo stesso Nixon che, dopo il verdetto della Corte Suprema che scagionava i due giornali in nome della libertà di stampa, aveva ordinato che mai più un cronista del Post avrebbe potuto mettere piede dentro la Casa Bianca.

Il patto di fiducia tra i cittadini e il governo americano inizia a scricchiolare da lì. Dalla scoperta che le menzogne del potere erano il motore che spingeva centinaia di migliaia di ragazzi a sacrificare la propria vita in nome di una bandiera che il potere stesso stava infamando. I cittadini lo scoprirono grazie ad un principio, quello della libertà di stampa, in nome del quale altri uomini - e donne - erano disposti a sacrificare qualsiasi cosa.

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