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The Perfect Couple. (L to R) Liev Schreiber as Tag Winbury, Nicole Kidman as Greer Winbury in episode 103 of The Perfect Couple. Cr. Courtesy of Netflix © 2024
I termini “complicato” e “complesso” non sono sinonimi. Senza scomodare la solita Treccani, basti la bellissima definizione che ne ha dato il grande direttore d’orchestra Daniel Barenboim: “Complesso è un miscuglio, un insieme di cose che possono essere anche molto semplici, ma che insieme generano qualcosa di nuovo e completamente diverso, da cui a volte non sai cosa aspettarti. Invece complicato è solo qualcosa di macchinoso.” Guardando la miniserie The Perfect Couple (diretta da Susanne Bier e basata sull’omonimo romanzo di Elin Hilderbrand), “inutilmente complicato” è un concetto a cui si pensa spesso, al pari di una celeberrima affermazione del poeta Saitō Ryokuu, divenuta anche il titolo del reportage sul Giappone di Goffredo Parise: l’eleganza è frigida. Difatti se la parte estetica è così patinata da sembrare quasi un servizio di Vogue in movimento, il contenuto lascia la stessa sensazione che si prova quando, dopo il primo boccone, si capisce che, sotto una guarnizione spettacolare, si cela una torta insipida e nemmeno troppo fresca.
Per una volta non siamo negli Hamptons, bensì nell’isola di Nantucket (quella di Moby Dick e Le avventure di Gordon Pym), ma l’ambientazione è l’unico elemento di novità in questo family crime dove il matrimonio del secondogenito del ricchissimo clan Winbury salta, causa ritrovamento del cadavere di Merritt (Meghann Fahy), influencer e damigella d’onore della sposa. Quando la detective Nikki Henry (Donna Lynne Champlin, il cui aspetto trasandato e i modi grezzi servono come “indicatore di povertà”) inizia a fare le domande del caso, la famiglia da copertina (talmente artefatta che solo un lobotomizzato da reality potrebbe considerarla “perfetta”) si rivela subito il solito covo di falsità e rancori. Se Merritt non è annegata accidentalmente e non si è suicidata, chi potrebbe averla uccisa? La scrittrice di successo Greer Garrison Winbury (Nicole Kidman, ormai votata al ruolo dell’algida moglie altoborghese che cela torbidi segreti), che comanda a bacchetta coniuge e prole, senza nascondere la propria antipatia per la futura nuora? Suo marito Tag (un avvilito Liev Schreiber), il quale, pur professandosi felice di fare da compiacente zerbino alla moglie, non riesce mai a esserle fedele? Il figlio maggiore Thomas (Jack Reynor), egocentrico viziato alla perenne ricerca di soldi e invischiato in una relazione adulterina con la maliarda Isabel (una Isabelle Adjani così plastificata dai ritocchi chirurgici che, al confronto, la Kidman risulta naturale)? Sua moglie Abby (Dakota Fanning: nel suo indolente cinismo, la migliore della partita), incinta e decisa a difendere con le unghie i propri privilegi? La nubenda e miglior amica della defunta Amelia Sacks (Eve Hewson), socialmente inferiore al promesso sposo Benji (Billy Howle) e pericolosamente attratta dal suo testimone Shooter Dival (Ishaan Khatter)? Il più giovane degli Winbury, Will (Sam Nivola), che esibisce alla mano una ferita alquanto sospetta? La domestica Gosia (Irina Dubova), la quale disprezza apertamente i plebei e riserva al “signor Tag” una cieca devozione? Oppure l’uomo misterioso (Tommy Flanagan) che telefona sempre a Greer?
Non fa purtroppo, grande differenza il contribuito di Susanne Bier, che gira con mano sicura, ma senza particolare ispirazione, talvolta ingranando direttamente il pilota automatico a prova di spettatore distratto. Probabilmente lei stessa è consapevole sia di dover gestire personaggi al limite dello stereotipo, sia di avere fra le mani un prodotto di mero consumo, più interessato a generare trend (dal – curatissimo – look delle interpreti principali all’ormai inevitabile balletto modello TikTok) che allo svolgimento della storia. E dire che l’autrice di Dopo il matrimonio (2006) e In un mondo migliore (2010) era approdata sul piccolo schermo con un gioiellino come The Night Manager (2016), che aveva regalato l’Emmy a lei e il Golden Globe ai suoi tre formidabili interpreti (Tom Hiddleston, Olivia Colman e Hugh Laurie). Ma va ricordato che, in quel caso, alla base c’era un romanzo di John le Carré. Qui si parte da un libro di Elin Hilderbrand, che negli USA viene considerata “la regina delle letture da spiaggia” e a cui interessa molto di più “chi va a letto con chi” piuttosto di “chi ha ucciso chi e perché”. Nonostante la presenza della Kidman possa far pensare a Big Little Lies (2017-2019) e The Undoing (2020, diretto sempre da Bier), la penna di Jenna Lamia non è ancora in grado di competere con quella di una vecchia volpe come David E. Kelley, capace di offrire ai registi materiale molto più interessante su cui lavorare.
In The Perfect Couple , l’esibizione del privilegio è sfacciata (forse perché nulla stuzzica il pubblico come vedere i ricchi puniti per i loro peccati), ogni discorso di classe risulta altamente superficiale, gli inciuci si accavallano senza reali necessità ai fini della trama, gli uomini fanno quasi in toto una figura meschina, l’effetto parodia involontaria è dietro l’angolo (dai cuori di chiunque abbia amato Adèle H., Lucy Harker e la Regina Margot, si leva un grido: Isabelle, perché?), le rivelazioni piovono dall’alto in base al minutaggio, tutto si ingarbuglia e poi, all’improvviso si dipana. Non un brivido, un palpito o un’emozione che impediscano a questa miniserie di distanziarsi da quella marea di prodotti che, in virtù della loro aurea mediocritas vengono consumati voracemente e dimenticati altrettanto in fretta. Trovarla profonda ed emozionante equivale più o meno a considerare “Sei la miglior scopata della mia vita” una dichiarazione d’amore. Nella realtà parallela di The Perfect Couple (dove, per apprendere il galateo amoroso, si chiedono lumi a una sciroccata Adjani, esperta in quanto francese)succede. Anzi, tanta poesia garantisce la pronta riconciliazione e un accoppiamento immediato. Nella vita normale, (si spera) bonjour, finesse.