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The Painted Bird
La labilità del male. Il ceco Václav Marhoul adatta L’uccello dipinto di Jerzy Kosinski, e lo porta in Concorso a Venezia 76: uno scandalo, forse, nelle intenzioni, un non scandalo, forse, negli esiti. Il passato, siamo nell’Est Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, è una terra straniera per il piccolo (Petr Kotlár) ebreo – non sveliamo il nome – affidato dai genitori a una parente di campagna, è una lunga teoria di sopraffazioni, punizioni, stupri, torture inflitti a sé o a chi lo circonda.
Parte bene, cioè male, con dei coetanei che lo prendono a pugni e gli bruciano il coniglio: l’anziana tutrice lo consola, “è colpa tua”, “scarpe sporche mezzo uomo”. Andrà peggio: violentato da soldati sovietici e parrocchiani; graziato, incredibile, per due volte dai nazisti; attaccato dai cosacchi al soldo dei nazi; violentato da una giovane donna, che copulerà poi con un caprone; malmenato da tutti; diagnosticato vampiro, sepolto eccetto per la testa e aggredito dai corvi; messo di fronte a violenze efferate, bulbi oculari cavati con il cucchiaio, donne stuprate da altre donne fino alla morte, amplessi letali, impiccagioni.
E’ l’apocalisse in terra, immanente, sorda, ineluttabile, meccanica, ebete: non c’è empatia, forse nemmeno sadismo, è un dare e avere, gli altri comminano orrore, lui lo riceve, Marhoul certifica e cataloga. Idem gli animali, oggi vittime più piangibili degli umani: al coniglio flambé seguirà caprone decollato e, come da titolo, uccellino dipinto affinché non riconoscendolo i suoi simili ne facciano scempio.
Bianco e nero superbo (pellicola 35mm, fotografia di Vladimír Smutny), ricostruzione storica accorta, sforzo produttivo ingente, cammei d’autore (Harvey Keitel, Stellan Skarsgård, Udo Kier), eppur poco muove, questo The Painted Bird, dalla lunga gestazione (undici anni), la lunga teoria di orrori e il respiro breve: è un film asettico quanto sordo; mostra senza timore, ma non sta mai sulle cose; scempia, ma senza canto, senza coro, senza risonanza. L’orrore è un tunnel senza fine, ma se la luce a rischiarare come me ne posso (pre)occupare? Manca la geometria raziocinante di Haneke (Il nastro bianco), le complicazioni filosofiche di von Trier, qui c’è molto, anche molto ben fatto, ma manca quid: la camera deve sempre avere una posizione, morale o no.