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©WolfgangEnnenbach
Presentato alla Berlinale 2019, The Operative – Sotto copertura è il secondo lungometraggio di Yuval Adler, autore israeliano che nel 2013 aveva raccolto attenzioni e riconoscimenti con l’opera prima Bethlehem.
La nuova sortita cinematografica, tratta dal romanzo The English Teacher di Yiftach Reicher Atir si avvale di una solida coproduzione internazionale (Stati Uniti, Germania, Francia e Israele). Sulla carta l’ideale per dare respiro a un thriller che rinverdisce il genere della spy story.
Al centro dell’intrigo c’è Rachel, un’agente del Mossad sotto copertura, inviata in missione a Teheran per rintracciare il dirigente di una società di componenti elettroniche. L’obiettivo è sottrargli segretissimi dati sensibili affinché il Mossad possa fare entrare in Iran il materiale difettoso per sabotare il sistema nucleare in preparazione.
Rachel riesce a creare il contatto ma, quando la situazione diventa troppo pericolosa, decide di fare un passo indietro. Interviene, allora, Thomas, il suo supervisore, con cui la donna ha un rapporto non soltanto professionale.
E, in fondo, il cuore di The Operative non sta tanto nella tensione montata – peraltro timidamente – attorno al racconto della missione. Più che alla spy story, Adler appare interessato al ritratto della spia, al mondo interiore di una donna votata alla doppiezza, sospesa tra protocolli e sentimenti.
The Operative©WolfgangEnnenbachNon a caso riesce a ottenere il contatto mettendo in campo il proprio privato, svelando quelle angosce e fragilità che la rendono vulnerabile ma solida. D’altronde la prima frase che sentiamo (“Mio padre è morto. Di nuovo”) è più di una spia – si perdoni il gioco di parole – per capire la vera natura di un film in cui le vicende intime sono al servizio della spy story internazionale.
Diane Kruger ha la giusta tempra per sostenere un ruolo così sfaccettato, ma Adler sembra investire il suo personaggio di un carico eccessivo. Quasi a voler ricorrere al dramma psicologico quando non sa trovare la cifra adatta a modulare il genere in maniera personale. Un po’ un’occasione parzialmente mancata che diventa un’operazione di routine poco avvincente.