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Ben Mendelsohn in "The New Look," now streaming on Apple TV+
Immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, finita l'occupazione nazista di Parigi, un vento nuovo si diffonde in città. Non si tratta soltanto della libertà ritrovata, ma di una pulsione al bello e al sublime dopo anni di orrori. A capitanare questa rivoluzione un uomo mite dal talento geniale: Christian Dior . The New Look omaggia fin dal titolo la favolosa collezione del 1947 che ha consacrato con effetto immediato lo stilista, raccontando non soltanto la storia che c'è dietro la nascita di una delle maison dell'haute couture a tutt'oggi più apprezzate, ma anche un mondo ormai svanito.
Creare è sopravvivere. Il tema al centro della serie viene addirittura declamato dal personaggio di Dior fin da subito nel pilot, dopo soli dieci minuti di visione. L'urgenza di metterlo in chiaro nasce probabilmente dall'esigenza di preparare lo spettatore: l'alta moda non è questione – non soltanto – di tessuti pregiati per modelli da sogno, qui si parla davvero di vita e di morte. La Parigi in cui è ambientata gran parte della narrazione è lugubre teatro di rappresaglie naziste, coprifuoco e identificazioni a ogni piè sospinto, con gli stendardi della croce uncinata che impacchettano i palazzi più prestigiosi della città.
Ma non è soltanto Christian Dior a vivere questi tempi oscuri. Con lui ci sono tanti stilisti, del calibro di Lucien Lelong (John Malkovich), Pierre Balmain, Yves Saint Laurent, Pierre Cardin, Cristóbal Balenciaga e altri. Ma, su tutti loro, si staglia l'ombra lunga di Coco Chanel, mito vivente dell'alta moda che, con meno scrupoli di Dior, si muove in maniera opposta. La sua storia personale e lavorativa è un vero e proprio contrappunto a quella dell'altro stilista, e la loro rivalità si fa struttura portante della serie. Se all'inizio della guerra Chanel chiude il suo atelier, vantandosi di non lavorare per il nemico, Dior disegna abiti da sera per le uniche donne che potevano farci qualcosa, ovvero le mogli degli alti papaveri nazisti con le loro feste e i loro balli. Ma le cose, si scoprirà, non sono sempre bianche o nere, nel mezzo ci sono tante sfumature di colore che, se nella sartoria servono a dare dimensione e carattere agli abiti, nella storia ci permettono di collocare i due personaggi al punto giusto.
Dior (Ben Mendelsohn, già villain in Rogue One: A Star Wars Story e Ready Player One) è un'anima gentile e delicata, capace di trasmettere la sua sensibilità attraverso i modelli che disegna e che trasformano le donne in fiori dalla splendida corolla. Anche il suo approccio col mondo è pacato, e impostato sulla lealtà con amici e colleghi. La donna più importante della sua vita è la giovane e coraggiosa sorella Catherine (Maisie Williams, Arya Stark ne Il trono di spade), costretta ad affrontare indicibili supplizi per la sua attività di militante della Resistenza. The New Look si muove per dualismi, contrapponendo due figure lontane tra loro che condividono lo stesso lavoro e navigano in un ambiente che li potrebbe avvicinare; eppure il contatto non accade quasi mai. Né Dior né Chanel hanno avuto figli, ma per entrambi c'è la possibilità di un grande affetto quasi filiale. Se Dior ha la sua Catherine, Chanel ha un nipote per il quale si dice pronta a tutto, e dimostrerà di esserlo. L'interpretazione intensa di Juliette Binoche restituisce pienamente il ritratto di una donna dall'energia inesauribile e dal fascino senza tempo, che al talento nella moda accoppia un'intelligenza per gli affari sopraffina, ma non per questo priva di clamorose cadute dal punto di vista etico e umano. Scaltra ma anche ingenua, niente affatto rassegnata all'inevitabile scorrere del tempo, Chanel osa sempre in ogni sua decisione. Ha incontrato e incontra l'odio e l'amore ma sa gestire il primo meglio del secondo, per abitudine o per destino. Basti osservare il suo rapporto dalle radici antiche con Elsa Lombardi (Emily Mortimer, fantastica).
Altro formidabile dualismo sta nell'accostare il sublime all'orrore, combinazione certamente non inedita che qui funziona soltanto a metà, ovvero: la narrazione del sublime è la più riuscita, l'altra molto meno. Se il pilot funziona benissimo , schierando il nuovo (Dior) e l'ormai classico (Chanel) l'uno contro l’altra, lo stesso non si può dire dei due zoppicanti episodi seguenti che raccontano i protagonisti durante l'occupazione. È questa la parte più debole della storia: l'intento action si affloscia in dialoghi poco brillanti e scene non memorabili. Questo non ce l'aspettavamo da Todd A. Kessler, già coautore di Damages e Bloodline. Poi però la serie riprende quota, soprattutto quando affonda nel biografico più puro dei personaggi, magari attraverso ricordi giovanili: il giardino quasi fatato dell'infanzia di Christian e Catherine, la bettola in cui Coco immaginava il suo futuro. Il racconto è sicuramente più a suo agio nel sublime: la creazione dei modelli, la scelta dell'ormai mitica sede al 30 di Avenue Montaigne, la selezione della modella per la sfilata della vita.
La guerra diventa solo l'ennesimo – ancorché gigantesco – ostacolo destinato a forgiare il talento che si esprime nella moda, una parte della cultura che è solo apparentemente fatua e leggera. Nello stile della moda si riflette parzialmente lo stile delle persone che la creano, anche se solo sondando attentamente la fragranza di uno Chanel numero 5 si riesce a scorgere la banditesca, spericolata spregiudicatezza di Coco, e saggiando abilmente le pieghe di una corolla Dior il cuore generoso e profondo di Christian. Questo cerca di trasmetterci The New Look, riflettendo nella narrazione due personalità differenti e complementari, in conflitto ma anche affini. La moda, insomma, è in sé una guerra in cui la creatività, la competitività e il cuore devono convivere in continua tensione, schivando gli affondi della realtà più violenta e scovando ogni occasione possibile per risplendere e ispirare.