Tra dipartiti e sopravvissuti un’apocalisse interiore impossibile da dimenticare: così Damon Lindelof ha cancellato anche la sua serie cult con J.J. Abrams
Aver perso The Leftovers negli anni in cui la serie HBO creata da Damon Lindelof (Lost) era andata in onda, dal 2014 al 2017, è stato un bene. Recuperata di recente, ho potuto approfittare delle favolose opportunità offerte dal binge watching e non attendere, come sarà accaduto agli sfortunati spettatori della fu contemporaneità, la fatidica settimana che separa un episodio dall’altro e che consuma nel non-sapere-voler-sapere che cosa accadrà. Così, mi sono sparato 28 ore – spalmate su 3 stagioni – di sublime televisione in poco più di una settimana.
Ma c’è una seconda ragione che ha reso di gran lunga preferibile questa visione post-datata, ovvero il fatto che fosse una visione in quarantena. Se le situazioni personali finiscono sempre per avere un ruolo nella formazione del nostro giudizio e nel modo in cui recepiamo certe cose, figuriamoci in una pandemia. Ecco, The Leftovers è la serie perfetta di questo periodo. Il che non vuol dire che fosse meno perfetta prima, ma è come se oggi dispiegasse i suoi effetti in flagranza, con un livello di coinvolgimento prima inimmaginabile.
Facciamo un breve ripasso: accade un fatto inspiegabile, la Dipartita. Il 14 ottobre 2010, di colpo, svanisce il due per cento della popolazione mondiale. È qualcosa di inaudito, forse anche più dell’implosione globale imposta dal Covid-19.
I contraccolpi, le reazioni e le domande sollevate da questa esperienza traumatica sono però drammaticamente simili. Laddove gran parte del filone apocalittico si sarebbe arrovellato alla ricerca della “spiegazione” – indicando spesso soluzioni ridicole e motivate da una reazionaria ansia di controllo - The Leftovers propone con straordinaria lucidità, inventiva e complessità la narrazione di una apocalisse interiore, come l’ha definita felicemente il New Yorker.
Che cosa sia la Dipartita e perché è accaduta resta un mistero, per quanto ciascuno dei personaggi non smetta di cercarvi un senso. The Leftovers si alimenta di questa inesauribile tensione tra il desiderio umano di risposte e il muro di un Altrove invalicabile. Quello che i “rimanenti” sperimentano più di tutto è l’angoscia e un indefettibile bisogno di espiazione, che prende le forme più varie: spettri, sette, santoni, sacrifici, gesti di autolesionismo. Lindelof e i suoi collaboratori, più e meglio che in Lost, attingono a piene mani dalla Bibbia e da Freud, dalla cultura pop e dalla mitologia, senza però usare mai questi riferimenti come un diaframma. Senza mai lasciare sullo sfondo i personaggi e le loro contraddizioni, sofferenze e lutti, lacerazioni e vicissitudini e tentativi irrisolti di venirne a capo. La loro angoscia, prima di riassorbirsi nella pace di un epilogo meraviglioso, assume configurazioni narrative sempre imprevedibili, risonanze emotive tormentose.
The Leftovers stabilisce una connessione profonda tra noi e questi personaggi pur spingendosi fino alla soglia del plausibile e oltre.