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Alex van Warmerdam viene dal teatro, e si vede. Il suo settimo lungometraggio, presentato alle Giornate degli Autori, riadatta una piece teatrale portandone agli estremi i toni da farsa grottesca. Quel che all'inizio sembra la classica operetta morale sulla turpitudine dell'avidità si trasforma gradualemente in una favola orrorifica sulla famiglia borghese: Emma Blank morirà, deve morire per dare alla sua servitù, soverchiata e insolentita, il compenso a tanta tortura.
La sognata fortuna della signora però non esiste, la servitù in realtà è composta dei membri di un'unica velenosa famiglia, della quale anche Emma fa parte e alla fine la tensione dei lunghi giorni accanto alla despota esplode in un rigurgito di muta violenza.
Per realizzare un film davvero cattivo non basta avere in mano un testo per la scena perfettamente oliato, un po' di freddo cinismo e qualche buona trovata adatta al grande schermo. Alex van Warmerdam dirige con mano ferma ma senza grandi idee un gruppo d'attori affiatato. Nonostante l'efficienza al film manca il sussulto che ne faccia proliferare il germe narrativo in discorso morale/politico. Il corpo del reato è una sceneggiatura debole e opaca che tenta il passaggio al cinema allontanandosi dal palcoscenico senza trovare la necessaria nitidezza di scrittura. Il risultato è che la vilolenza senza crudeltà resta gesto inerte e ottuso, la cattiveria ostentata e detta, posa inutile e molesta.