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The Kamagasaki Cauldron War è il secondo titolo in concorso a Pesaro Film Festival, nella sezione Nuovo Cinema. Girato da Leo Sato in 16mm, inquadra uno dei quartieri meno in voga, eppure più sovra-popolati, di Osaka. Il turismo cinge Kamagasaki come un recinto, evitandone accuratamente la povertà sociale, gli abusi di potere e la criminalità, vera o presunta tale.
Il film è un racconto di due ore che non sperimenta tanto nella forma (al di là del formato) quanto nel contenuto, che non sacrifica né risparmia sviluppi sempre più “distanti” dal proprio incidente scatenante. Lo sviluppo è ricco di parentesi e parco di sintesi.
Se la varietà, quindi, è tanto pronunciata, d’altra parte il ritmo non può che subire saltuarie flessioni, sostenute solo saltuariamente dall’impianto narrativo. Più che addentrarsi nella trama della “Guerra dei Calderoni”, un cocktail schizofrenico di fatalità, sentimenti, investigazione e piccole strategie di sopravvivenza, bisogna lasciarsi trascinare da una corrente che, piuttosto lentamente, conduca alla foce del fiume.
È un atto di fede, richiesto da un cinema esigente, da osservare, contemplare persino con pazienza, che tuttavia ripaga il debito con immagini d’impatto, bagnate di un pathos tutto umano solo per gli occhi di chi abbia pazientato. Scorci delicati, lenti movimenti di camera ci avvicinano a un quartiere lontano, destinato a rimanere, per molti, quello ritratto in pellicola da Leo Sato.
Quest’ultimo, comunque, sa rendergli giustizia, non ultimo grazie a un occhio registico deliziosamente vintage che si rifà volentieri a classici del passato, se non proprio all’idea di passato in sé, rievocato dallo stesso ritmo elastico e riflessivo. In conclusione, The Kamagasaki Cauldron War è un film non per tutti, la cui esclusività è al contempo mite pregio e veniale difetto.