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Al terzo lungometraggio di finzione dopo una ricca esperienza nel documentario, Alessandro Rossetto si conferma narratore interessato a scandagliare l’anima del nord-est, indagandone angosce e contraddizioni.
Dopo Piccola patria ed Effetto domino, The Italian Banker (in concorso al Bif&st 2021) rappresenta un nuovo pezzo di questo ampio racconto che ha l’obiettivo di dare voce a un territorio e al contempo di interpretarne il carattere e le azioni con uno sguardo che unisce osservazione e analisi antropologica.
Produzione pressoché indipendente dove le idee appaiono più forti dei mezzi, è la trasposizione cinematografica dello spettacolo Una banca popolare di Romolo Bugaro, scrittore padovano nonché avvocato esperto in diritto aziendale. L’origine teatrale è evidente, perfino rivendicata (il cast è lo stesso), con la scelta del bianco e nero a stilizzare una straniante “notte del giudizio” abitata da corpi ridotti a spettri, personaggi che sono funzioni.
La dimensione metaforica è sottolineata dall’unico spazio, una grande villa palladiana – simbolo dell’identità veneta, maestose dimore aristocratiche ma anche complessi produttivi – dove si sta svolgendo una festa esclusiva. Tra gli invitati, eleganti e perbene, molti hanno perso milioni a causa del crollo della Banca Popolare del Nordest.
In quello che potremmo definire un “primo atto”, a prendere la parola sono le vittime del crack, già conniventi del sistema, con le tensioni personali che si intrecciano alla frustrazione collettiva. Poi entra in scena l’ex presidente della banca e soprattutto la sua verità. È lui, the Italian banker, perché nell’autodifesa c’è anche l’accusa, nell’ammissione delle responsabilità c’è anche il ribaltamento del punto di vista, nell’autorappresentazione dell’uomo al servizio della comunità c’è anche l’emancipazione dalle colpe individuali.
Difficile che il cinema italiano si misuri davvero con i temi messi in campo da Bugaro e Rossetto. Difficile perché il rischio manicheo è sempre dietro l’angolo, il confine tra pietà è pietismo è sottile e la restituzione della materia finanziaria si scontra con la difficoltà di un pubblico spesso privo degli strumenti necessari.
La sintesi è efficace nel mettere in scena i rapporti di forza, l’impatto della crisi, i meccanismi del potere, complicità e connivenze tra il potere che ha elargito e coloro che hanno ricevuto senza farsi domande. L’esito finale, con danze a ritmo di cumbia a dare consistenza coreografia al balletto funebre, resta maggiormente consono al medium teatrale, con l’adattamento cinematografico che appare più una versione rivolta a un pubblico più ampio per dare conto di un disastro sociale e finanziario che è soprattutto un fallimento etico e civile.