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The Invasion di Sergei Loznitsa - @ ATOMS & VOID
La cerimonia funebre di qualche soldato, una libreria dove vengono portati testi della letteratura russa destinati poi al macero, un matrimonio, alcuni adulti che si battezzano immergendosi nelle acque gelide, il reparto maternità di un ospedale, una scuola elementare, un pronto soccorso, una donna che si esercita con il fucile in una cava.
Dal 2022 a oggi la vita è andata avanti in Ucraina, lo ha fatto però sotto il giogo di un'invasione che ne ha drasticamente condizionato la quotidianità.
Dieci anni dopo Maidan, Sergei Loznitsa torna con The Invasion (in Special Screening a Cannes) a filmare il presente della sua Ucraina (in realtà lo hanno fatto alcune piccole troupe dislocate sul territorio, lui è rimasto a Kiev per assemblare tutto il materiale raccolto): se allora si focalizzava sui giorni della rivoluzione che portarono alla caduta del presidente Viktor Janukovyč, stavolta si sofferma – le immagini sono il frutto di due anni di riprese – sulla "normalità" di un paese che da oltre un biennio fa i conti con una situazione anormale.
“Dieci anni fa si avvertiva già che la guerra era imminente”, spiega Loznitsa. “Ci sono stati chiari avvertimenti nei discorsi degli attivisti di Maïdan. Nessuno ottiene mai la libertà e il potere gratuitamente”.
A Loznitsa, che non raccontava l'oggi (eccezion fatta per la "finzione" di Donbass) dai tempi di Austerlitz (2016), in mezzo ha infilato altri notevoli lavori con materiali d'archivio quali Babi Yar. Context e The Natural History of Destruction, non interessa però soffermarsi sulle immagini di guerra - nel senso stretto del termine - di corpo a corpo o di battaglie, no, al regista ucraino di origini bielorusse sta a cuore soprattutto restituire la resilienza di un popolo che porta avanti la propria esistenza in un contesto dove i rituali collettivi (siano essi le file per andare a riempire le taniche d'acqua o le code per prendere da mangiare, piuttosto che commemorazioni funebri o battesimi di gruppo) contribuiscono a rinsaldare la convinzione di dover resistere all'oppressione di un nemico che non vediamo mai ma che percepiamo presente, sempre in agguato.
Le sirene antiaereo costringono i bambini di quella scuola a scendere nelle cantine, ma la lezione continua lo stesso.
La guerra sconvolge dunque ogni aspetto della vita, e anche laddove è la vita a prendere il sopravvento sul dolore (il matrimonio, o quel padre-soldato che accudisce il figlio appena nato in quel reparto) a noi non resta che immaginare quale potrebbe essere l'immediato futuro di quelle persone: il presente ci restituisce l'immagine notturna di un palazzo sventrato dalle bombe e la disperata ricerca dei vigili del fuoco di qualche sopravvissuto, o la caparbietà silenziosa di un'anziana che, mattone dopo mattone, cerca di riassemblare il muro della propria abitazione in un villaggio devastato dal passaggio dei russi, oppure, ancora, lo strazio composto di una famiglia che saluta per l'ultima volta il figlio 21enne morto in combattimento, con il prete che ricorda che proprio lì, in quella chiesa, 21 anni prima quel ragazzo lo aveva battezzato.
E si ritorna a Piazza Maidan, di nuovo, per quell'omaggio silenzioso ai caduti che Loznitsa (come sempre senza alcun commento per tutto il corso del documentario) cattura ancora una volta con l'occhio di chi ci avverte di non commettere lo stesso errore (il cronocidio) che ha portato poi alla glaciale banalità dei nostri tempi, già raccontata nel memorabile Austerlitz: vedere per capire.