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The Host
Questi alieni non sono così malvagi. Anzi, si comportano decisamente meglio degli uomini: non inveiscono, non rubano, non uccidono, non odiano. Ma nemmeno (si) amano.
Nel futuro illuminato ma anaffettivo immaginato da The Host (dal libro di Stephenie Meyer) il pane delle distopie totalitarie è cosparso di marmellata hippie. Creature chiamate "Anime" sono giunte nel nostro pianeta per portarvi benessere e armonia, cancellando la natura bellicosa dei loro abitanti. Corpi umani ridotti a involucri e “ospiti” che se ne impadroniscono, appropriandosi di tutto il pacchetto, pensieri e ricordi annessi.
Se il fine giustifica i mezzi, il prezzo della pace è un conformismo spaventoso. Persino nell'aspetto: i terrestri “occupati” sembrano tutti biondi, anche i neri, in una sorta di revival ariano di iridi azzurro-fluorescenti, posture rigide e facce spartane. C'è chi resiste. E' una frangia umana che vive clandestinamente e si prepara alla lotta contro gli odiati visitors. E se una convivenza fosse invece possibile? Lo strano caso di Wanda, un ospite che non riesce a domare lo spirito fiero della sua “occupata” (Melania) potrebbe fornire la chiave per un futuro diverso.
Di sicuro c'è che la storiella derivativa e new-age della Meyer non fornisce scampo al povero Andrew Niccol la cui parabola discendente, iniziata già con In Time, subisce una decisa accelerata. E dire che di spunti buoni ce n'erano - idolatria del controllo, irriducibilità della coscienza, estetizzazione del sistema, stigmatizzazione del diverso – tanto che per una buona mezz'ora si rivede l'autore di Gattaca, il regista teorico, quello capace di deviare il più banale dispositivo narrativo verso traiettorie pensanti, inedite per un blockbuster americano.
La messa in scena di ghiaccio - non nuova, certo, ma pur sempre suggestiva - e il confronto/scontro tra due esseri politici agli antipodi, che sono anche due attrici meravigliose (l'inflessibile Diane Kruger e la dubitante Saoirse Ronan), regalano un'illusione che dura poco. Giusto il tempo impiegato dalla Meyer per ricordarsi che The Host è soprattutto cosa sua (l'autrice di Twilight è anche produttrice); che, dunque, Wanda/Melania non deve far altro che ripetere le gesta di Bella (sì quella di Kristen Stewart), essere contesa tra due uomini, tormentarsi tra una natura umana e una tentazione aliena; che l'amore vince tutto pure quando è combattuto esso stesso; che non esiste conflitto che non possa essere ricomposto con un po' di buona volontà, tanto in camera da letto quanto in guerra.
Poco male se questa brusca sterzata dal ghiacciolo teoretico all'iperglicemico rosa confetto finisca per sacrificare caratteri (la Kruger esce praticamente di scena), intelligenza e coerenza narrativa: The Host condivide in fondo l'infame destino dei suoi personaggi, rivelandosi un corpo in cui l'anima di Niccol e quella della Meyer, non potendo convivere, confliggono. E il film muore.