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Il film di cui innamorarsi, quest’anno, lo ha realizzato Alexander Payne. Con i toni agrodolci che lo contraddistinguono, i paradisi amari in cui vivere, i sogni infranti di chi affronta fasi diverse della propria esistenza. Payne è un cantore dell’America profonda, un amante del viaggio, a cui piace giocare con il cinema.
Dietro a The Holdovers – Lezioni di vita sembra esserci un film famoso degli anni Ottanta: Breakfast Club di John Hughes. Era la storia di cinque studenti un po’ troppo esuberanti, costretti per punizione a passare più tempo del previsto tra le grinfie del preside. Veniva affidato loro un tema: “Chi sono io?”. The Holdovers sembra essere la risposta a quella domanda, ribaltando anche la struttura di L’attimo fuggente di Peter Weir.
È come se uno di quei ragazzi fosse cresciuto, e adesso facesse l’insegnante in una high school immersa nella neve. Sfoga le frustrazioni sulle sue classi, non lo sopporta neanche il suo capo. Intanto si avvicinano le vacanze di Natale, e lui viene scelto per sorvegliare chi non può ritornare a casa. Nasce un’improbabile famiglia, che segnerà la maturazione di ogni personaggio.
A fare da sfondo sono gli anni Settanta, qui opposti a quelli portati in scena da Paul Thomas Anderson in Licorice Pizza. In quella Città degli Angeli splendeva il sole, sbocciava la passione, anche per il cinema. Qui Payne invece lavora sulle emozioni trattenute, sui cieli plumbei, sugli spazi chiusi. Stanze e corridoi sono deserti, i protagonisti sembrano fantasmi. Cronaca di una vita rimossa, mai vissuta.
La malinconia del passato si fonde con i rimpianti, con i traumi nascosti, con le battaglie che si portano avanti silenziosamente ogni giorno. Potrebbe essere un prequel di Sideways - In viaggio con Jack, poco prima che l’anima on the road si scateni. O l’epilogo di Nebraska, nel momento in cui il rapporto genitoriale raggiunge il suo compimento. In fondo lo sappiamo, le vicende di Payne appartengono agli amori che non hanno respiro, ai lutti, alla paternità reale e putativa.
The Holdovers rappresenta una delle vette di Payne, che brilla dopo l’opaco Downsizing - Vivere alla grande. Paul Giamatti regala una delle migliori interpretazioni di sempre. Diventa l’immagine di un’America miope, oppressiva, che avrebbe bisogno di riscoprire sé stessa. In un’indagine sull’attualità, sulle sue contraddizioni, sui desideri mai concretizzati. Da noi, in anteprima, al Torino Film Fest.