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La morte corre lungo la linea telefonica. Storie di voci, chiamate che scandiscono la giornata. Omicidi, rapimenti, violenze. La città è nuda, si mostra in tutta la sua brutalità, anche se il regista Gustav Möller non la inquadra mai. Siamo rinchiusi dentro a un ufficio, guardare fuori non è concesso. Un poliziotto, l’auricolare e lo schermo del suo computer. 112: il numero d’emergenza da non scordare.
A rispondere persone comuni, difensori della legge. O forse criminali sotto mentite spoglie, colpevoli. The Guilty. Uomini al servizio degli altri, sconosciuti che possono risolvere ogni situazione. In linea con l’assassino. Ma anche con gli ubriachi, con chi ha preso parte a una rissa, con chi si è fatto male e ha bisogno di un’ambulanza. Un mondo che si contrae, che passa attraverso un semplice “apparecchio”, senza mai incontrarsi o avere un contatto umano. E così Möller costruisce il suo universo, alimenta la tensione, stupisce con i colpi di scena. Trasmette il dolore della tragedia attraverso gli occhi del suo protagonista, appoggia l’intero film sulle sue spalle. One Man Show.
The Guilty è un Kammerspiel, un’opera teatrale dall’intreccio intimo, psicologico. Con un’atmosfera claustrofobica. Non si respira. La vita privata resta fuori, esistono solo la scrivania, i colleghi, il superiore che lancia occhiatacce se non segui le regole, la vittima dall’altro capo del filo.
Una donna dice di essere stata rapita, è terrorizzata. Contatta il 112, cerca un salvatore. Ad aiutarla è Asger, un’agente in cerca di redenzione. Il giorno dopo dovrà affrontare un processo, ma questa notte è in servizio. Si muove tra due stanze e un corridoio, circondato da chi lo condanna prima ancora del verdetto. Potrebbe essere il riflesso di Tom Hardy in Locke. Anche lui ha “tradito”, ha perso la sua solidità, deve ritrovare se stesso. In quei pochi metri, in collegamento con la capitale all’esterno.
Siamo a Copenaghen, ma potremmo essere ovunque. Si riconosce il luogo dalla cartina che si apre sul monitor: Il centro, la periferia, l’autostrada. Ogni movimento viene rintracciato, per inviare una pattuglia il prima possibile. Tutto in tempo reale. Con le ricerche forsennate dei soccorritori, i bambini che aspettano a casa, la solitudine di chi ha perso qualcuno, e l’impotenza di chi non può fare abbastanza.
Möller trasforma le parole in volti, realizza un thriller implacabile. Nessuna distensione, l’orologio scorre inesorabile. Fino alla fine del turno, e anche dopo. Quando le indagini svelano realtà devastanti, e lo spirito, invece di sentirsi sollevato, collassa. Un cinema che sperimenta, rifiuta le convenzioni, insegue qualcosa di nuovo. Con un ritmo serrato, e un montaggio fatto di inquadrature che si specchiano l’una nell’altra, trovano una loro simmetria, diventano i pezzi di un puzzle sempre più grande. Presentato in concorso al Torino Film Festival, The Guilty potrebbe essere il vincitore di quest’anno.