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Di film su sopravvissuti a disastri aerei ne abbiamo visti tanti. The Grey non è necessariamente diverso, ma è uno dei più belli.
La storia, tratta dal romanzo di Ian Mackenzie Jeffers (Ghost Walker) e adattata per il grande schermo dallo scrittore, ricalca quella di Alive (1993), in cui un gruppo di superstiti al fatale incidente si ritrova sperduto sulle vette innevate di una montagna. Alla morsa del freddo e della fame si unisce quella dei lupi che presidiano il territorio. Elemento che conferisce al lavoro di Joe Carnahan sfumature horror e un livello di tensione altissimo, avvicinandolo a titoli come Lo squalo e Spiriti nelle tenebre. Come quest'ultimi sa fondere spettacolo e riflessione, spirito d'avventura e respiro alla Hemingway.
Film crudele e lirico, da grande cinema popolare: la mano di Carnahan è sicura, la fotografia di Takayanagi mozza il fiato, l'interpretazione di Liam Neeson superba, toccante (l'attore tornava sul set due anni dopo la morte della moglie). Stretti attorno a un fuoco, che si consuma come la speranza, i suoi protagonisti impareranno a chiamarsi per nome, loro che non erano mai stati nessuno. La lotta che ingaggiano è estenuante, non bramano sopravvivenza ma salvezza. Più che fuggire, cercano. Risposte, anzitutto.
Un western baluginante, e la frontiera è il Senso: perché accade ciò che accade? Cos'è il destino? A chi giova la sofferenza? Il loro cavallo è l'anima, inerme e nuda, forza capace di curvare la materia e di spingerli oltre, avanti. C'è chi si abbandonerà alla disperazione, chi alla misericordia divina, chi si aggrapperà a una foto, un ricordo, un amore lontano, per sperare contro ogni speranza e attingere a nuove energie vitali.
E' la storia di tutti, ogni giorno. Dentro una stessa sorte, sopravvissuti e sopravviventi, siamo precipitati nel tempo a batterci, né morti né salvi, come nei versi scritti ad hoc per il film:
“Ancora una volta in lotta
nell'ultima battaglia che conti
di cui ho mai saputo
vivere e morire in questo giorno
vivere e morire in questo giorno”.