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(From L-R): Elisabeth Moss, Owen Wilson, Tilda Swinton, Fisher Stevens and Griffin Dunne in the film THE FRENCH DISPATCH. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2020 Twentieth Century Fox Film Corporation All Rights Reserved
Scritto e diretto da Wes Anderson, nel cast all star Benicio Del Toro, Adrien Brody, Tilda Swinton, Léa Seydoux, Frances McDormand, Timothée Chalamet, Lyna Khoudri, Jeffrey Wright, Mathieu Amalric, Stephen Park, Bill Murray, Owen Wilson, Christoph Waltz, Edward Norton, Jason Schwartzman, Anjelica Huston, The French Dispatch è in concorso a Cannes 74.
Miscela di bianco e nero e colore, live action e animazione, porta sullo schermo una raccolta di storie desunte dall'ultimo numero di una rivista americana pubblicata in una città francese immaginaria del XX secolo: stilizzate, immaginifiche e precise, ribadiscono la cifra autoriale di Anderson, che forse fa davvero sempre lo stesso film, ma non è detto sia un problema. Stavolta non lo è, almeno: pieno, fino alla bulimia, ma ostinatamente vitale, inzeppato pur nel rigore, fa professione di fede in un massimalismo minimal, un diorama vivo, un simulacro che non copia nulla.
In occasione della morte dell'editore Arthur Howitzer, Jr., lo staff di The French Dispatch, una rivista americana a larga diffusione con sede nella città francese di Ennui-sur-Blasé, si riunisce per redigere il necrologio. Il ricordo origina quattro storie, firmate da altrettanti giornalisti: un diario di viaggio che pesca nel torbido cittadino vergato da The Cycling Reporter (Owen Wilson); "The Concrete Masterpiece", su un pittore pazzo criminale (Benicio Del Toro), la sua guardia e musa (Léa Seydoux) e i suoi mercanti (Adrien Brody); "Revisioni a un manifesto", amore e morte nella rivolta studentesca (Timothée Chalamet); "La sala da pranzo privata del commissario di polizia", rapimenti e haute cuisine (Mathieu Amalric).
L’episodio migliore è il primo, il secondo il peggiore, ma poco importa: ancor più dopo (?) il Covid, la cui evenienza ha pesantemente condizionato l’epifania del film, il potere che Anderson concede alla storia e al racconto sono encomiabili, è un cantastorie precisino, perfettino, probabilmente anemico, ma quanta energia, offerta, possibilità.
Con un po’ di generosità, potrebbe essere il suo lavoro migliore da Fantastic Mr. Fox (2009), Del Toro è super, i bon mots si sprecano, qualche sequenza trova l’estasi nerd, insomma, mission accomplished. Anzi, no: che un film che è dichiarato atto d’amore per il giornalismo non vada in conferenza stampa non è un paradosso, ma una pena.