Più veloce della luce, per piegare il tempo: Ezra Miller si sdoppia per il primo stand-alone cinematografico del personaggio DC Comics. Un altro tuffo nel Multiverso, ma “il destino è quel che è, non c’è scampo più per me”… (cit.). E rivedere Michael Keaton nei panni di Batman ha il suo perché
Al lavoro arriva sempre in ritardo, Barry Allen (Ezra Miller). E dire che la (super)velocità è il suo mestiere, al punto di salvare una decina di neonati nel crollo di un ospedale mentre lì, dietro al bancone, l’inserviente ancora gli prepara il sandwich. Ma a Flash essere uno della Justice League (“l’ultima ruota del carro”, a dire il vero), nonché buon amico del leggendario Batman (Ben Affleck), potrebbe non bastare: quando capisce che la sua velocità può addirittura riportarlo indietro nel tempo, Barry tenta di “cancellare” la tragedia che ha segnato la sua vita, impedire l’assassinio della madre per il quale, oltretutto, è stato ingiustamente accusato il padre.
Ennesima variazione sul tema del multiverso, The Flash è il primo stand-alone cinematografico dedicato al personaggio DC Comics: il chiacchieratissimo Ezra Miller (reduce da varie accuse di aggressioni e altro) si sdoppia e si ritrova a dover “guidare” il sé stesso più giovane in una linea narrativa dove la minaccia del kryptoniano Zod (Michael Shannon) potrebbe distruggere “quel” mondo dove la mamma è ancora viva.
Peccato però che lì Superman non si trovi (esiste?) e Batman non è proprio lo stesso di sempre. È forse questa la trovata più importante del film diretto da Andy Muschietti (già regista del fortunato dittico di
It), destinata forse a rivoluzionare il futuro prossimo venturo del DC Extended Universe: rivedere Michael Keaton indossare i panni dell’uomo pipistrello (e prodursi con un piatto di spaghetti ad illustrare il “funzionamento” delle linee temporali) scatena un innegabile effetto nostalgia/divertimento, ma al tempo stesso non può non far venire in mente l’escamotage già adottato dalla Sony/Marvel per
Spider-Man: No Way Home.
Una rispolverata al personaggio di Supergirl (Sasha Calle), il sorpresone finale al ritorno nel proprio mondo (chi è quel Bruce Wayne che scende dall’auto?...) e la conferma del già annunciato cameo di Nicolas Cage nei panni di Superman in uno dei tanti, innumerevoli mondi che finiranno per collidere, compresi gli storici George Reeves, Christopher Reeve ed Helen Slater, contribuiscono a mantenere un discreto livello di attenzione negli occhi di guarda.
Certo, la CGI - soprattutto per quello che riguarda la mega battaglia contro il Generale Zod - non lascia a bocca aperta come in altre occasioni, e la durata dilatata del film (quasi due ore e mezza) costringe a situazioni dove incombe la ridondanza: resta l’innegabile buona (doppia) prova del protagonista, entusiasta 18enne schizzato nell’universo alternativo (irresistibile quando scopre come “fasare”, passare cioè attraverso i muri), più controllato e malinconico nella versione “base”, con il peso ineluttabile di un destino che - in nessun modo - potrà essere cancellato. D’altronde, lo insegnava anche Gene Wilder in
Frankenstein Junior, “il destino è quel che è, non c’è scampo più per me!”…
Al massimo si potranno modificare alcuni aspetti, limarne i contorni, accontentarsi di un mezzo lieto fine. Ma le cicatrici che ci portiamo appresso sono quelle che ci definiscono come esseri umani. E come supereroi.