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E se fosse Ryan Gosling l’unico candidato possibile al ruolo di futuro James Bond?
Suggestione frivola, visto che alla MGM il passaggio di consegne sembra ormai deciso. Una rivoluzione più soft incoronerà nuovo 007 l’inglese Aaron Taylor-Johnson, versione millennials di Daniel Craig. Peccato, perché Gosling possiede caratteristiche uniche e insieme ispirative. Non a caso è il protagonista di meme estremamente popolari con tanto di firma in calce: Literally Me. Letteralmente io, Ryan Gosling. In cui si riconosce però anche quell’universo maschile smarrito, allergico alla controriforma della “manosfera”. Si può essere maschi pure senza il patriarcato, sembra dirci Gosling. Cioè apparire cool senza fare gli spacconi. Riscoprirsi forti senza nascondere le debolezze. Impertinenti, autoironici, sopportabilmente romantici. Siamo di fronte a un upgrade del maschio dopo il Me too. Ecco perché 007: in fondo, cosa ha espresso James Bond nella storia del cinema, se non un’idea di mascolinità aggiornata di volta in volta al proprio tempo? Toccherà invece a Taylor-Johnson, con Gosling destinato a rimanere un’oziosa divagazione.
Un’ingiustizia che deve essersi palesata anche nella testa dei produttori di The Fall Guy, che si sono divertiti – e noi con loro – a ribaltare ruoli e destini, facendo fare alla controfigura Gosling la parte dell’eroe e a quella dell’action-hero Taylor-Johnson la figura del fesso. Nel film Gosling sembra portare ancora in dote la “Kenergia” (copyright suo), ovvero quella forza richiesta a sostenere il Kenning, che è il dare più del necessario o del richiesto, consentendo agli altri di brillare di luce riflessa. Sostanzialmente è lo stuntman, uno dei più richiesti e spericolati di Hollywood. Ruolo che l’attore ricopre per la terza volta in carriera dopo Drive e Come un tuono. Stavolta senza vena autodistruttiva. Al contrario Colt Seavers è tipo giovale, conciliato, innamorato del proprio lavoro e di Jody Moreno, la bella assistente alla regia interpretata da Emily Blunt. È, anche, la controfigura della star Tom Ryder (Taylor-Johnson), sua croce e delizia: senza il suo stunt Ryder non sarebbe nessuno, ma la gratitudine non è dei vanesi, la sfiga invece colpisce gli audaci: durante l’esecuzione di un ciak pericoloso Colt si fa male seriamente, al punto di mollare carriera, donna e autostima. Ma il richiamo delle scene e dell’amore sarà più forte e anche foriero di guai.
Monumento alla Goslingness e al trionfo di uno star system rinnovato, meno muscolare e smargiasso di quello degli anni Ottanta (alla Tom Cruise, esplicitamente richiamato dal personaggio di Taylor-Johnson), epoca alla quale appartiene Professione pericolo, la serie tv omaggiata da The Fall Guy, il film è un divertente backstage movie che ci risparmia per una volta il marketing della nostalgia. David Leitch, ex stuntman egli stesso e regista tra gli altri del sorprendente Atomica bionda, conosce trucchi e acrobazie degli stunt più rischiosi e ce ne fa mostra con letizia e dovizia, senza ricamarci null’altro che il gusto della performance, l’incoscienza giocosa di un lavoro che nemmeno la CGI più sofisticata è riuscita a soppiantare. È curioso che un film come questo, che digerisce metacinema, azione, grottesco, demenziale e romantico senza scomporsi, abbini a una fluidità di struttura l’ortodossia al sistema. Che sia, cioè, il vecchio film di una major fatto con piglio e volti più freschi. In fondo Gosling & Co. (nel cast anche Winston Duke, Stephanie Hsu e tantissimi camei, uno gustoso nel finale) non vogliono disfare o rifare Hollywood.
Vogliono solo spassarsela rimanendo fedeli a sé stessi. Literally Them.