Viggo Mortensen ci ha preso gusto, con la regia. Dopo aver debuttato con Falling nel 2020, torna dietro la macchina da presa per The Dead Don’t Hurt, ovvero I morti non feriscono, presentato al festival di Toronto nel 2023, distribuito negli Usa, altrove e per un pugno di dollari (un milione e 861mila euro…) e ora, via XIX Festa del Cinema di Roma, nelle nostre sale.

Nonostante le non esaltanti premesse, è assai meno peggio di quanto si possa pensare: per farla breve, prendendo la comunanza western e il doppio ruolo di regista e attore, Viggo batte, se non straccia, il poro, se non bancarotto, Kevin Costner di Horizon – An American Saga. Gran parte del merito va ascritto all’attrice che s’è scelto: Vicky Krieps ha una solidità e una profondità con sparuti eguali nel cinema qui e ora – e non lo scopriamo oggi.

Nemmeno Viggo è male, anzi, e dà al genere che fece l’America, cinematografica e tout court, un nuovo battesimo, segnatamente femminista. Lo Zeitgeist spira forte, e dopo aver regolato l’omofobia in Falling il 65enne – sì, li porta assai bene – Mortensen s’incarica dell’autodeterminazione femminile, contemplando una donna del West, Vivienne Le Coudy (Krieps), che a sé stesso, ovvero l’immigrato danese Holger Olsen, non dice il canonico “cercavo un uomo forte come te”, bensì l’identitario e indipendente “cercavo un uomo forte come me”. Va be’.

Stretta la relazione – il primo incontro a San Francisco vede l’Holger di Viggo in modalità uomo che non deve chiedere mai, quanta oleografia signora mia… - e trasferiti in una capanna in Nevada, lui decide di combattere nella Guerra Civile, lato nordista “contro la schiavitù”, lei se ne sta a casetta, pardon, capanna, esposta alle angherie del figlio di papà – il ranchero Alfred Jeffries (Garrett Dillahunt), che è in combutta col sindaco di Elk Flats Rudolph Schiller (Danny Huston) – violento e sbandato Weston (Solly McLeod): ne succederanno delle brutte, ma non riveliamo.

Comunque, ci sono delle buone cose, su tutte: lui dice a lei che, lei, è abile, ovvero “handy”, al che lei letterale e vieppiù divertita gli infila la mano nei pantaloni, e viva la manovella. Meno buoni sono i post-it verbali catalizzati dal #MeToo: “Gli uomini sono così stupidi”, e possiamo convenire; il dialogo lui: “Tu sei il mare”, lei: Si fotta il mare”, ancora lei: “Non puoi possedere il mare”, e yawn.

“Allo stesso tempo una tragica storia d’amore, una sottile rappresentazione del conflitto tra vendetta e perdono e il ritratto di una donna piena di passione, determinata a difendere sé stessa da un mondo spietato, dominato da uomini senza scrupoli”, a dare retta al pressbook, la seconda volta direttoriale di Viggo ingaggia una singolar, ovvero copia-carbone, tenzone con Jarmusch; fatto salvo che The Dead Don’t, famo a capisse: Die, lo zombie-movie del 2019 di Jim, o appunto Hurt?

Nel dubbio, meglio bearsi di Vicky, che sa essere parimenti ineffabile e indomita, stolida e sagace, insoumise e insondabile: una donna, un’attrice così unica da non lasciare, eccetto l’irrefutabile bravura, alcun punto di riferimento, alcuna certezza. Per dirne una, Vicky Krieps è bella o no?

E I morti non feriscono, com’è? Tanto è compassato, perfino sottratto quale interprete, quanto Mortensen rincara la dose drammaturgica, associando alla liaison di Olsen e Vivienne un dopo e due prima - il prima di lei, il prima di lei allegorico – (in)debitamente intrecciati con barba e capelli quali spie diacroniche. Ok, i morti non feriscono, ma i vivi rischiano qualcosa. In sala.