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Nathan Mitchell (Black Noir), Chace Crawford (The Deep), Antony Starr (Homelander) © Amazon Content Services LLC
C’è un momento in cui la nuova normalità diventa semplicemente normalità, soprattutto quando si racconta la società contemporanea. È accaduto ad esempio a Modern Family e ad altre comedy, ma succede anche a titoli seriali drammatici come The Boys , tornata dal 13 giugno su Prime Video con la quarta (e penultima) stagione con nuovi episodi ogni giovedì. Questo perché la serie di Eric Kripke, prendendo ancora una volta spunto dal fumetto omonimo di Garth Ennis e Darick Robertson, vuole fare satira sulla società americana e per traslato sulla società contemporanea mondiale. Una critica feroce e senza peli sulla lingua in cui però quegli stessi peli, insieme a sperma, sudore, lacrime, sangue e fluidi da organi interni non creano più quello sconvolgimento durante la visione. Sono diventati appunto la nuova normalità per la serie, che ha settato una nuova asticella dello splatter in tv.
Proprio come in House of the Dragon – l’altro titolo di punta in queste settimane di programmazione – due sono le chiare fazioni per cui parteggiare. Da una parte i Supes, sempre più narcisisti e fuori controllo, preda delle proprie ambizioni e della propria ingordigia: il Patriota del sempre ottimo Antony Starr, il pentito A-Train di Jesse Usher, il viscido Abisso di Chace Crawford, il non più silenzioso Black Noir di Nathan Mitchell. Dall’altra i Boys del titolo, sempre più determinati a debellare quel virus esistenziale che ritengono essere i Supereroi nati dal Composto V: l’acciaccato Billy Butcher di Karl Urban, il combattuto tra lavoro e famiglia Latte Materno di Laz Alonso, il sempre meno nerd e timido Hughie di Jack Quaid, i complessati Frenchie di Tomer Kapon e Kimiko di Karen Fukuhara. Infine, la Starlight di Erin Moriarty, tornata al suo nome anagrafico Annie January e passata letteralmente da una fazione all’altra, dichiaratamente contro i Supes e contro tutto ciò che rappresentano. Immancabili due new entry per i Sette: la Firecracker di Valorie Curry, che innalza all’ennesima potenza il modus operandi dei complottasti da tastiera, dei podcaster e influencer più bravi a urlare e fare rumore che a verificare le proprie fonti, spesso inneggianti ai valori cattolici ricollegandosi quindi al mondo d’origine di Annie, virando quasi verso il grottesco; e la Sister Sage di Susan Heyward, la donna più intelligente al mondo che guarda quattro mosse avanti, strizzando l’occhio al Dr. Manhattan in campo fumettistico, non dicendo mai a nessuno tutta la verità perché non capirebbero e non riuscirebbero a vedere il disegno più grande, il quadro generale, in primis Patriota. Ognuno di loro deve affrontare un trauma passato per poter andare avanti, finendo in una spirale un po’ ridondante e ripetitiva per il serial, ma che continua a funzionare grazie alla caratterizzazione ed interpretazione sopra le righe dei personaggi, oltre che all’avvicinarsi sempre più a ciò che si andava a parodiare. La società.
La critica geopolitica che era parte della spina dorsale dello show oramai sembra raccontare la realtà dei fatti. La politica attuale e il marciume della società per niente distopica ma tristemente ancorata alle brutture e storture moderne. Come la storyline che coinvolge i candidati nientemeno che alla Presidenza degli Stati Uniti, Robert Singer (Jim Beaver, un pezzo di Supernatural, ex serie del creatore) e Victoria Neuman (Claudia Doumit) strizzando l’occhio agli X-Men. L’eredità funziona al contrario in The Boys, dato che il futuro è rappresentato da Ryan (Cameron Crovetti), il Primo Supereroe nato non dal Composto V, diviso tra due fuochi paterni come Butcher e Patriota, i più carismatici della serie tv.
L’inizio della fine appare chiaro non solo per la malattia di Butcher, per i numerosi camei che rinfoltiscono la stagione e arrivano dal passato della serie Prime Video, per i riferimenti e crossover con Gen V, spin-off di grande successo l’anno scorso sulla piattaforma che espande ulteriormente questo universo narrativo; ma anche per la preparazione ad un gran finale che, dopo vari passaggi come fossimo in una scacchiera e le due squadre si confondessero e mescolassero sempre di più fra loro, prepara il terreno per un epilogo esplosivo. Nella nuova stagione non manca un altro pezzo di Supernatural, Jeffrey Dean Morgan nei panni dell’ex collega alla CIA di Butcher. “Un tempo il sangue mi faceva ribrezzo, ora quasi nemmeno sussulto nel vederlo sgorgare a fiumi” dice Hughie ad un certo punto ed è sintomatico anche per noi spettatori, che non saltiamo più sulla poltrona nell’assistere a qualche trovata visiva nelle sequenze action più splatter o spinte, acuite dalla regia dinamica che ha sempre caratterizzato lo show. Abbiamo oramai assimilato e accettato questo nuovo filone come un nuovo modo, crudo, cattivo, sadico e per niente edulcorato di raccontare i supereroi oggi. Figli di una società dell’immagine che si espande come un virus.
A questo proposito, proprio di un qualcosa che potrebbe eliminare i Supes parla questa stagione, preparando il terreno per il gran finale, reduci come siamo da una pandemia globale che qui viene indirizzata nel racconto, strizzando ancora una volta l’occhio al presente, attualizzando il racconto di Ennis che già guardava in modo visionario agli eroi di domani. La storia statunitense è intrinsecamente legata alla figura dell’eroe (e dell’antieroe) e forse l’unica soluzione è alzare lo sguardo al cielo e cercare tra le stelle, perché sulla Terra si troverà solo marciume e corruzione. The Boys non hanno alcuna intenzione di andarsene in silenzio. Del resto, perché dovrebbero?