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Si parla troppo poco del cinema di Jeff Nichols, specialmente in Italia. Le sue sono storie di frattura, che inseguono il sogno per poi schiantarsi contro la realtà. Era il caso di Loving – L’amore deve nascere libero, in cui a mescolarsi (e a rischiare di essere distrutte) erano culture diverse. Ma anche del suo esordio, Shotgun Stories: dall’implosione degli affetti si scatenava la guerra. Il conflitto è sempre stato al centro dei film di Nichols, per raggiungere la sua rappresentazione più estrema in Take Shelter: un uomo costruiva un bunker per proteggersi da tempeste perfette e tremende visioni. A livello teorico, il sequel è stato Mud con Matthew McConaughey, in cui il protagonista era un fuggitivo nascosto nell’ecosistema del fiume Mississippi.
Nichols ama le situazioni al limite, gli antieroi in crisi di identità, la spiritualità portata al fanatismo. Midnight Specials – Fuga nella notte si soffermava su un bambino con delle capacità non comuni, inseguito sia dai federali che da una setta religiosa dallo spirito bellicoso. È come se tutti questi elementi trovassero una sintesi in The Bikeriders, con Austin Butler e Tom Hardy.
Lo sguardo è al passato, l’ispirazione arriva dall’omonimo fotolibro del 1968 di Danny Lyon. Il fotografo (i suoi scatti sono da recuperare) tratteggiava la quotidianità degli Outlaws MC, uno dei motoclub più famosi che gli Stati Uniti abbiano avuto. Nel tempo sono stati al centro di attività poco legali, di comportamenti simili a ciò che si vede in Gli intoccabili, e di battaglie per il territorio. Gli acerrimi nemici sono i canadesi degli Hell Angels.
Nichols affonda però le radici anche in una tradizione cinematografica ben codificata. Nel centenario dalla nascita di Marlon Brando, si pensa subito alle scorribande di Il selvaggio di László Benedek, a Easy Rider – Libertà e paura di Dennis Hopper: l’on the road, il mito, la rottura con la società, la voglia di rivoluzione. Nichols in qualche modo deve esserne affascinato ancora oggi (di sicuro conosce la serie Sons of Anarchy), come molte platee di tutto il mondo. The Bikeriders diventa così il suo omaggio al cinema che lo appassiona, portando avanti la sua riflessione sulle immagini.
Se tutto è già stato proposto e non si può inventare nulla di nuovo, Nichols lancia il suo grido di coraggio: non accontentarsi. Così rielabora gli archetipi, mette in scena un’epopea dalle tinte forti, in cui l’asfalto si fa incandescente e l’amicizia virile mette in discussione i sentimenti amorosi. The Bikeriders sembra un’avventura che appartiene a un universo lontano, quasi dimenticato. E proprio per questo brilla nella sua malinconia e sferza a ogni sgommata.
Il regista gira il suo Quei bravi ragazzi, in cui l’essere umano si unisce alle ruote e ai motori. Sono i diari di una motocicletta in fiamme, in cui la dannazione sembra essere la minore delle colpe. Un film che corre veloce, un film di fantasmi sulle ombre degli anni Sessanta e non solo. Un film in cui ancora una volta Nichols si rivela divisivo, sospeso tra l’underground e il pubblico più ampio. Una sorpresa, ma non troppo.
A spiccare sono le stelle, ricoperte da giubbotti di pelle e carburante. I mattatori sono i Vandals, in un arco narrativo che dura dieci anni. Butler interpreta il “matto” tenebroso alla ricerca di una casa, Hardy è il patriarca, il boss, che lo prende sotto la sua ala. Fino allo scatenarsi dell’apocalisse. The Bikeriders è una vicenda inaspettatamente intimista, che rivela una voglia di libertà oggi forse dimenticata. Per centauri del grande schermo e non solo.