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Attori come Jason Statham sembrano essere figli di un altro tempo. Si è sempre ispirato a Bruce Lee, è l’erede di Arnold Schwarzenegger e Sylvester Stallone. Come lui ne sono rimasti pochi. Duetta ancora con Vin Diesel e Dwayne Johnson, alcune volte si accosta a Denzel Washington (The Equalizer) e prova a emulare il successo di Keanu Reeves (John Wick). Tra quelli citati è però il più prolifico.
I suoi film sono tutto muscoli, sudore e machismo scatenato. Sono picchiaduro senza pietà, in cui la storia è evanescente. Ma riesce spesso ad avere un buon successo di pubblico, da solista (i due capitoli di Shark) e in gruppo (l’epopea di Fast & Furious). La sua punta di diamante al momento è la collaborazione con Guy Ritchie (da recuperare il recente La furia di un uomo - Wrath of Man). Ma non dimentichiamoci che è stato anche diretto da Carpenter in Fantasmi da Marte.
L’ultimo progetto con Statham, The Beekeeper, non è dei migliori. Dietro la macchina da presa c’è David Ayer, autore di disastri ad alto budget come Suicide Squad (forse il peggior film di supereroi di sempre) e Bright. Già la storia ha dell’incredibile. Il nostro eroe alleva api, il suo unico contatto col mondo è una signora in là con gli anni, che gli affitta un fienile.
Un giorno lei viene truffata, le rubano tutti i soldi che ha in banca, e si suicida. Lui si scatena, anche se è una macchina da guerra in pensione, e si trasforma in un mietitore che ha come obiettivo il governo degli Stati Uniti. Dalle truffe telefoniche al Campidoglio, sola andata. Il suo nome è Adam Clay. È un giustiziere che, da cliché, quasi non parla e comunica menando le mani.
The Beekeeper è un’avventura innocua, nonostante sia ambientato in un inferno di pallottole rotanti. Sembra essere fuori giri, soprattutto nell’epoca di John Wick, che ha reinventato l’estetica dell’action esasperato. I combattimenti sono delle danze: è un musical votato alla violenza. The Beekeeper vuole seguirne la scia, con alcuni personaggi volutamente sopra le righe, da fumetto. Ma ne è solo una copia sbiadita. Peccato per Jeremy Irons, l’unico a spiccare in un cast decisamente sottotono. Adatto a chi si accontenta, e potrebbe non essere finita qui, con un possibile sequel in arrivo, in stile The Transporter. Si salvi chi può.