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In attesa dell'apocalisse via zombie di World War Z, film-evento dell'estate cinematografica (dal 27 giugno in sala), ecco un antipasto che sarebbe improprio definire succulento - può essere appetitosa la visione di una colonia di parassiti che si sviluppa all'interno del corpo umano mangiandone gli organi? - ma certamente soddisferà gli amanti del filone. Almeno quelli forti di stomaco.
La fine del mondo in The Bay ha contorni meno spettacolari rispetto agli analoghi sul tema (nonostante il secondo premio del pubblico a Toronto 2012, è stato un flop al botteghino USA: poco più di $ 30.000), ma vanta dalla sua un'ascendenza diretta con la cronaca da mandarti sufficientemente in paranoia per il resto dei giorni.
E' un'operazione che mette a disagio sin dalla lettura dei credits: che cosa può farci mai, ti chiedi, il nome del grande Barry Levinson in un film prodotto da Oren Peli e Jason Blum, strateghi dei vari Paranormal Activity? E perché un regista intelligente e rinomato come lui, per anni inserito nella grande famiglia di Hollywood (ricordiamo che ha vinto un'Oscar nel 1988 con Rain Man), si è prestato a girare con iPhone e videocamere amatoriali un film che, per genere e target, non diresti nelle sue corde? Poi scopri che Levinson non lavora al cinema da quattro anni (ultimo titolo in filmografia è Disastro a Hollywood, quasi una premonizione personale); che il low-budget può essere l'occasione di sperimentare una libertà d'espressione senza precedenti in carriera (e Levinson ha 71 anni!); che The Bay non è la solita horror-fuffa-pseudo-documentaristica realizzata con la tecnica del found footage, ma un'abile rappresaglia linguistica condotta con - e contro - i codici delle retoriche dominanti.
Levinson provoca un cortocircuito. Se l'idea alla base del mockumentary è quella di far sembrare vero ciò che non lo è, qui avviene l'esatto opposto: quello che sembra vero - e che, dunque, dovrebbe essere decrittato come palesemente falso da un pubblico ormai scafato e competente - è vero per davvero, o lo è almeno in parte. Tanto che in origine The Bay doveva essere un documentario sul disastro ecologico che ha colpito la baia di Chesapeake nel primo decennio degli anni 2000, quando un mix micidiale di infiltrazioni radioattive, letame tossico e irresponsabile gestione delle autorità cittadine, ha sancito la distruzione di metà della flora e della fauna presente nelle sue acque provocando danni anche alle persone: "Un batterio carnivoro alberga nella baia di Chesapeake - scrive Levinson nelle note di regia -. Non attacca chiunque entri nell'acqua, solo alcuni. Ma per coloro che vengono infettati potrebbe significare la perdita di una gamba, un braccio o qualche altra parte del corpo. E se non agisci velocemente, sei morto in 24 ore. Questo batterio diventa sempre più diffuso".
Il batterio in questione è l'Isopode Mangia Lingua, comunemente noto come pidocchio del mare. E' lui - una forma mutata - a uccidere in modo terrificante i vari personaggi del film (interpretati tutti da attori sconosciuti). Chiaramente The Bay opta per l'iperbole, acutizzando il fatto di cronaca con un'esasperazione (narrativa e visiva) al limite della sopportazione e del buon gusto. Però mai completamente a discapito della verosimiglianza. E' questa la sua potenza: si tratta di un credibile monito ecologista diffuso con l'altoparlante dell'horror. Ributtante quanto si vuole (amanti del sushi, talassofobici ed entomofobici sono avvertiti) ma fortemente ansiogeno, politico e - pensa un po' - salutare. Buona visione.