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The Bad Guy 2 - Foto Andrea Miconi
SPOILER ALERT
È assodato che ormai, nel mercato contemporaneo della serialità televisiva, non si possono più produrre le stagioni a cadenza strettamente annuale, perché i ritmi sono troppo stretti per gli attori che non vogliono legarsi troppo ai ruoli del piccolo schermo, ma anche per gli sceneggiatori che devono studiare la ricezione delle stagioni precedenti ed elaborare sceneggiature ricche e complesse, oppure per le produzioni che necessitano tempo per portare gli elementi del racconto a un pregio visivo degno di attenzione. D’accordo, sono le nuove regole del gioco e ci sembrano anche corrette, ma stavolta abbiamo fatta un bel po’ di fatica ad aspettare 24 mesi per vedere la seconda stagione di The Bad Guy, la serie tv Prime Video (con la prima stagione andata in onda anche su Rai 2 prima dell’arrivo del seguito) che racconta la lotta alla mafia come un thriller pop, grottesco e rocambolesco, rincarando le invenzioni di messinscena che già con Il cacciatore (serie Rai del 2018) avevano dato uno scossone ai prodotti audiovisivo d’ambientazione mafiosa.
La serie riprende da dove si era interrotta: Balduccio Remora (Luigi Lo Cascio), ovvero il magistrato anti-mafia Nino Scotellaro, fuggito dal carcere in cui era finito incastrato dai gangli dello Stato collusi con Cosa Nostra, fintosi morto e successivamente rinato come mafioso sotto falso nome, è riuscito finalmente a mettere le mani su Mariano Sura (Antonio Catania), il boss che gli ha rovinato la vita. Il suo scopo è quello di scoprire cosa sia e dove sia il tesoro di Sura, ovvero le prove della trattativa Stato-Mafia dopo la guerra che costò la vita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ovviamente il tempo sotto falsa identità crea complicazioni, soprattutto perché Remora è diviso tra la necessità di assicurare alla giustizia il mafioso e la voglia di vendicarsi di quella parte degli apparati dello Stato che lo hanno “fatto fuori”. Saranno tra donne ad acuire l’ambiguità dell’anti-eroe: la moglie Luvi Bray (Claudia Pandolfi) che comincia a sospettare qualcosa, la sorella Leonarda (Selene Scaramazza), carabiniera attivissima, ma frustrata dall’inadempienza dei suoi superiori, e Teresa (Giulia Maenza), figlia di Mariano che dopo l’arrivo di Balduccio e la cattura del padre ha ripreso in mano la propria vita diventando erede del Boss nella guerra contro i rivali prima e lo Stato poi.
La serie creata e scritta da Ludovica Rampoldi, Davide Serino e Giuseppe Stasi e da lui diretta assieme a Giancarlo Fontana continua nel mescolare thriller gangsteristico e commedia sul filo del grottesco, spostando l’equilibrio più verso il primo termine, che ovviamente permette agli sceneggiatori di ampliare il racconto con più facilità (sebbene non mancano i tocchi di umorismo nero, come la partita a Risiko che tutto lo Stato maggiore dell’esercito gioca col figlio del ministro dell’Interno) e di poter premere sugli elementi che hanno fatto il successo della prima stagione, ovvero il ritmo degli eventi, l’azione, la suspense.
The Bad Guy 2 però non è semplicemente una mera prosecuzione dei sei episodi andati in onda nel 2022, perché il team di autori ha in mente un raggio largo di vicende e di possibili mondi narrativi da esplorare, non a caso la fonte di ispirazione è Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas (libro che in una sequenza diventa mezzo con cui depistare i magistrati), ovvero un’opera monumentale, piena di digressioni e spostamenti di racconto che infarciscono la trama principale: i nuovi sei episodi della serie ampliano il discorso, lo ispessiscono sia da un punto di vista emotivo, con i rapporti familiari che diventano sempre più intensi mano a mano che la bugia di Nino comincia a mostrare i segni, sia in senso politico, divenendo centrali - soprattutto in chiave futura - la figura del ministro della Giustizia Francesco Maria Marmora (Bebo Storti) e il nuovo ingresso del Maggiore Testanuda (Gianfelice Imparato), suo braccio armato nel gestire gli equilibri tra forze dell’ordine e criminali. Un equilibrio malato che diventa il cruccio esistenziale di Remora/Scotellaro, soprattutto stando a continuo contatto di Teresa, della quale diventa mentore ed eminenza grigia, spalla su cui appoggiarsi, mente di cui non riesce a fidarsi, al tempo stesso spina nel fianco e genio strategico della rinascita, cugino per finta ma sostegno psicologico per davvero: Maenza è davvero brava nel supportare l’evoluzione del suo personaggio, tanto da portare il personaggio principale a chiedersi in che senso agire, se usare il caos come ribellione allo Stato criminale o come paradossale veicolo dell’ordine. Un dubbio che, ovviamente, non sarà davvero risolto alla fine della stagione, aprendosi quindi a un’ipotetica terza annata finora senza conferme o smentite, anzi che si insinua anche nello spettatore di fronte al rapporto ritrovato e triste tra Teresa e Mariano, padre e figlia che solo dietro le sbarre del 41 bis sembrano ritrovare un affetto perduto, tanto da far sospettare anche un pizzico di compassione forse eccessiva da parte degli autori della serie.
Ponendosi involontariamente come specchio di Iddu, il film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza che rielabora con toni grotteschi la cattura di Matteo Messina Denaro, The Bad Guy usa Sura come alter ego di Messina Denaro ma soprattutto come figura prismatica, Stasi e Fontana non sono interessati a raccontarne le gesta nemmeno a porlo al centro del racconto, ma ne fanno la cartina al tornasole con cui misurare il rapporto degli altri personaggi con la giustizia, il Bene o il Male, il bene proprio o quello comune, tanto da declinare lo stesso significato di Cosa Nostra in senso individuale (lo fanno Balduccio/Nino e Teresa quando decidono di rilanciare la cosa dei Suro). Se il film con Elio Germano è più oscuro e i suoi sorrisi sono a denti stretti, la serie con Lo Cascio invece usa toni più aperti e diretti, la commedia è più giocosa e la suspense è più diretta, ma al tempo stesso, specie nella seconda stagione, affonda i denti nella satira, vuole comunicare al pubblico l’amarezza e la rabbia di chi ha creduto di servire lo Stato e le forze del Bene per trovarsi in mano solo rabbia e in bocca il gusto della bile: irriverente - e abbastanza curioso in ambito “televisivo” - l’uso di Fratelli d’Italia primo come cantilena di un pappagallo donato al ministro dalla Mafia e poi come ritmo con cui praticare il massaggio cardiaco (anche se ci sembrano più adatte Staying Alive o addirittura la Macarena, come faceva Vincent Lindon in Titane) senza successo.
Fa ancora più impressione, in una storia di mafiosi e magistrati passati alla storia, tanto nella realtà quanto nella finzione scenica, e tutti rigorosamente maschi, l’importanza che in questi episodi assumono le donne, non solo le tre protagoniste, ma proprio il genere femminile che funge da collante sociale e comunitario di un intero mondo - e questa non è una novità - e in modo particolare quando viene costretto a prendere le redini di quel mondo, a muovere i fili e comandare, a dare efficienza a una realtà che perso il controllo delle proprie regole: strepitosa l’invasione delle donne di casa Suro al parco acquatico sotto sequestro quando, una volta che tutti gli uomini sono in carcere, devono fare in modo di farli uscire e lanciare la guerra allo Stato.
Questa seconda stagione cerca di rendere ancora più complesso il tessuto della messinscena, grazie alla capacità e alla visione dei due registi dietro alla macchina da presa, abili tanto con gli attori (memorabile per tensione il confronto tra Lo Cascio e Pandolfi nel quarto episodio) quanto nella gestione dei mezzi produttivi che permettono un notevole gusto delle situazioni e un’ampiezza di sguardo degna dei grossi calibri (la perizia metronomica con cui mostrano le gesta poliziesche o criminali, il senso cromatico dell’immagine frutto della fotografia diretta da Gian Enrico Bianchi, il perfetto uso delle canzoni, su tutte Sentimento nuevo di Franco Battiato); al tempo stesso, proprio per reggere un ritmo narrativo degno del grande pubblico devono chiedere proprio agli spettatori una forte dose di sospensione dell’incredulità, una sorta di complicità che li porti ad accettare qualche buco nella scrittura, qualche semplicismo di costruzione (per esempio, il sequestro dei beni della mafia nel quarto episodio avviene in un modo troppo facile, specie alla luce della frattura tra Leonarda e i suoi superiori) o l’uso di un MacGuffin di troppo, come un capello lasciato al momento opportuno per rivelare un segreto.
Sono però facilonerie che ci sentiamo di perdonare senza troppi problemi, a fronte di uno spettacolo così divertente, ricco e soddisfacente, con interpreti che stanno al gioco e si divertono tanto quanto i registi a dirigere e gli sceneggiatori a scrivere, con camei sopra le righe come quello di Aldo Baglio o nuovi personaggi che meriterebbero più spazio, e magari anche una serie spin-off, come l’agente dei servizi segreti interpretato da Stefano Accorsi in versione platinata: un lupo solitario in grado di fare impallidire anche i Wolfs di George Clooney e Brad Pitt. The Bad Guy è una delle non troppe serie italiane contemporanee che non deve scegliere tra qualità filmica e divertimento: si prende tutto. E fa bene.