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Non fa compromessi col ritmo o il gusto per la ripresa dilatata, Rincòn Gille, per il suo Tantas Almas, racconto denso -non è cosa da poco, vista la dilatazione narrativa- sulla guerra civile colombiana di fine millennio. José è un pescatore che un giorno, tornando dal fiume, scopre che i suoi due figli sono stati vittima della milizia paramilitare: uccisi e gettati in acqua.
Parte quindi per un viaggio solitario, di nuovo nel fiume, sì, ma per pescare cadaveri. Solo seppellendo i suoi due figli potrà evitargli un limbo infinito. Ma non sarà affatto facile, tanto più che interagire con i cadaveri è vietato dalla stessa milizia, né è visto con favore da chi è sotto scacco dalla paura.
Ma non tutti lo sono, la Colombia sa dare aiuto persino nel suo momento più buio. José percorre le tappe di un itinerario anche e soprattutto spirituale, dal lutto alla disperazione, fino a un compromesso amaro con la perdita e la scomparsa, un finale audace che frustra la soddisfazione eppure colpisce in profondità.
Il regista dipinge un ambiente allo stesso tempo selvaggio e invaso, domato dalla forza bruta, a colpi di panorami e tempi (oltre che campi) lunghi. Sembra di guardare una sequenza di grandi quadri, dal movimento quasi impercettibile. Eppure, richiedendo uno sforzo di compartecipazione allo spettatore non indifferente, la storia di un paese diviso e dilaniato dal suo stesso sangue si lascia vivere e trascina fino alla fine. Come la corrente con un corpo, o una barca alla sua ricerca.