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Tanna
A Tanna non lo avevano mai visto, il cinema, prima di allora.
Almeno fino a quando i due documentaristi australiani Martin Butler e Bentley Dean, incappati in una storia non leggendaria ma realmente accaduta a due giovani morti per un amore impossibile, non decisero che su quell’isola sconosciuta nel sud dell’arcipelago delle Vanuatu, Tanna appunto, si poteva rischiare cogliendo da quella vicenda di ribellione e di morte il materiale per un film di finzione. Che ha appassionato il pubblico e, dopo essere stato presentato alla Settimana Internazionale della Critica nel 2015, vincendo il Premio del pubblico, è arrivato con sorpresa anche alla candidatura degli Oscar tra i migliori film stranieri.
Avventurosi i preliminari, raccontati dagli stessi registi: “Abbiamo spiegato agli abitanti di Tanna cos’è un film, chiesto se volessero farlo, ci hanno risposto “sì”. Abbiamo vissuto con loro prima delle riprese, deciso insieme chi avrebbe recitato, lavorando in condizioni estreme: non c’è elettricità, sull’isola, e la polvere ha danneggiato le cineprese”. Sono arrivati alla fine delle riprese, hanno mostrato loro il film stendendo un telone tra due alberi, prima di portarlo in Occidente e presentarlo alla “civiltà”. Se ne sono andati ricevendo come dono un pollo e una radice sacra di kava, da cui si produce una bevanda inebriante.
Gli aspetti antropologici sono un accompagnamento necessario per raccontare la genesi di Tanna, ma senza assolutamente condizionare la qualità filmica del risultato. Che si poggia prima di tutto su due fatti condizionanti: la totale naturalezza di quelli che attori non sono ma devono recitare, e la forza scenografica di una natura dalla bellezza incomparabile, ripresa con eleganza e con inquadrature di grande suggestione, alternate ad altre più attente alla vita quotidiana delle tribù, ai loro costumi, che in fondo ci affascinano.
Tra mare, foreste e lande di cenere e pietre due tribù stabiliscono che due dei loro giovani, per costruire un periodo di alleanza e di pace, debbano sposarsi. Wawa, la ragazza, cerca di ribellarsi a questo matrimonio combinato, perché le sue attenzioni sono tutte per Dain. Ma anche da quelle parti la ragion di stato (come succedeva a Verona per Shakespeare, cui è impossibile non pensare) ha le sue ferree regole e solo il loro sacrificio li libererà da una infelicità sicura. Il loro viaggio d’amore finirà tragicamente, ma cambierà per sempre il corso delle unioni a Tanna, introducendo la possibilità di matrimoni per amore, nel rispetto del Kastom, un sistema di leggi tradizionali legati alla cosmologia.
Indimenticabile il momento in cui, stagliandosi sul rosso fuoco della lava che zampilla dal vulcano Yahul, lo spirito madre degli abitanti di Tanna, i due giovani, appoggiati l’uno all’altro, vanno ad incontrare i loro antenati. La morte come un dolce incontro di anime.