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Talk to Me
Un gruppo di adolescenti. Una mano infestata da stringere per risvegliare un altrove. Un gioco tanto eccitante, quanto incontrollabile.
In casa A 24 la via dell’horror, dopo X- A Sexy Horror Story, ha ora i volti e la cinepresa di Danny e Michael Philippou, debuttanti fratelli youtuber che sul loro canale hanno già raccolto la bellezza di 2 miliardi di visualizzazioni con i loro video.
Marketing certo, ma anche intuito e intraprendenza alla base del salto dal piccolissimo al grande schermo. Lo stesso capovolgimento che, per traslato, cuce il tessuto narrativo del film: un gruppo di ragazzi scopre i poteri della mano imbalsamata scrollando video da YouTube: la tentazione è irresistibile. Iniziano a stringerla a turno, le sussurrano “Talk to me” prima, “Let me in” poi. Entrano, così, in un’altra dimensione fatta di possessioni, demoni, spiriti di defunti, visioni, incubi.
Più di tutti Mia, orfana di madre da due anni, finisce mesmerizzata da un gioco eccitante ma dagli effetti devastanti. Se ne accorge, però, solo quando ne fa le spese Daniel, fratello della fraterna amica Jade con cui Mia si anche è scambiata, di recente, il fidanzatino. Daniel, infatti, mano in mano, evoca lo spirito della madre di Mia.
La ragazza lo fa continuare e il posseduto perde il controllo, finendo in un bagno di sangue e alettato in ospedale. Mia, mitragliata dai sensi di colpa, ma comunque smaniosa di rivedere la madre per fare luce sul decesso, è scacciata da Jade e dal fidanzato, ritrovandosi in preda a visioni che le continuano a colonizzare ovunque la mente.
La madre le sussurra di continuo che non si è suicidata, alludendo alla (presunta?) colposità del padre. Sarà vero? Intanto quest’horror di feste adolescenziali in interno sbocciato sull’humus del più classico dramma famigliare, si lega al thriller, fa lievitare l’adrenalina, aumenta i sovrasensi, non sciogliendo, anzi spalancando altri enigmi sul finale (sequel in vista?).
I Philippous pescano dalla tragedia classica in salsa shakespeariana (impossibile non scorgere di sguincio le Streghe di Macbeth o il padre di Amleto nelle epifanie dei genitori) per spostarne sul terreno dell’horror i temi esistenziali topici: senso di colpa ed elaborazione del lutto, padri e figli, vita e morte, verità e apparenza, realtà e immaginazione.
Su queste fondamenta, i due registi distribuiscono senza remore tutto il corollario citazionistico del genere – se si parla di possessione, esorcismo, spiritismo serve davvero citarlo? - per erigere un teen horror, che, se non brilla per novità tematica e stilistica, convince alla distanza per crescendo psicologico, rotondità dei personaggi, pluralità di sensi e spaventosità dell’impianto visivo.
Tramite l’iterazione dell’identico, semplicissimo innesco narrativo – una mano da stringere come portale per l’abisso – i Philippous mantengono una solidità narrativa non scontata, data la varietà di voci e l’enorme dispendio emotivo chiesto ai protagonisti (e agli spettatori).
Dopo Berlino, al Sundance 2023 il film è sfilato tra gli applausi della critica, oltreoceano c’è già chi grida all’horror dell’anno, mentre A 24 pregusta un’altra saga da inaugurare, e altre scorpacciate di premi. Nelle nostre sale Talk to Me arriva solo all’alba dell’autunno, con l’ambizione (vedremo quanto appropriata) di inaugurare un franchise che segni e ridefinisca un immaginario generazionale, trapiantando incubi, aspirazioni, dolori e splendori di una nuova nidiata multietnica in polemica coi padri, ma pronta a scendere, insieme, per gioco all’inferno (familiare) per liberarsene definitivamente.