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Consiglio spassionato al cinema italiano: che siano genere o meramente titolo, i supereroi lasciamoli ad altri.
Paolo Genovese ha centrato con Perfetti sconosciuti (2016), venduto e rifatto in mezzo mondo, uno – se non il – dei maggiori successi degli Anni Dieci arrisi al nostro comparto, poi ha realizzato The Place (2017) e la serie tv Tutta colpa di Freud (2021) con minor fortuna, ora porta sotto l’albero Supereroi, girato nel 2019 e rimasto al palo causa Covid.
Dice di non chiamarlo commedia, bensì film sentimentale con licenza di dramma, e ci può stare, il problema non è né di genere né di registro, ma di struttura - due storie distanti dieci anni con gli stessi protagonisti intrecciate a schema libero – e di resa, ovvero scrittura, recitazione, colonna sonora, che risolvendosi in una teoria di brutte cover assume qualche valenza metonimica in sede critica.
Insomma, se servono i superpoteri per amarsi tutta una vita, e Anna (Jasmine Trinca) e Marco (Alessandro Borghi) lo sanno bene, servono anche i superpoteri per fare un bel film, e qui il Superman Genovese deve aver trovato la kryptonite.
Lei fumettista impulsiva e no future, lui fisico o, meglio, professore di fisica un po’ gentile e un po’ sfigato, stanno insieme per una “incognita che nessuna formula può svelare” ma nemmeno spiegare allo spettatore: la finzione, se non la falsità, della relazione, estesa agli amici e/o ex incarnati da Greta Scarano (forse la migliore), Vinicio Marchioni, Linda Caridi, dà nell’occhio, ovvero dà noia, ed è strano questo distaccamento dalla realtà delle relazioni per uno - per altro con gli stessi due co-sceneggiatori Rolando Ravello e Paolo Costella - capace di inquadrare , ovvero sondare, dei Perfetti sconosciuti.
Qui non funziona quasi nulla, a partire dagli interpreti, mai credibili, sovente posticci, spesso d’arredo quanto e più dei mobili, sopra tutto così poco interessanti rispetto a quanto ciascuno di noi, in quanto parte di una relazione o in quanto spettatore, per dirne due, di 500 (giorni insieme) e La guerra è dichiarata, ha vissuto, pianto e (soprav)vissuto.
Da Milano a Ponza, e altrove, dall’ischemia al brutto male, c’è di tutto, ma non di più rispetto a quel che il sentimentale dovrebbe essere o almeno provare a: iterazione più che sviluppo, inerzia più che azione e reazione, e – diciamolo – dover stare attenti al modello di occhiali o al “barba sì/barba no” di Borghi per capire se siamo avanti o indietro dieci anni anche no o, comunque, a che pro?
Peccato, forse anziché di Freud è colpa del titolo.