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Colin Farrell in Sugar. Courtesy of Apple
I titoli di testa sono accattivanti, rimandano a Chinatown di Roman Polanski e per un attimo ci sembra di essere tornati indietro nel tempo: una detective story in cui Sugar, titolo della serie in streaming su Apple Tv+, è un investigatore privato americano con un caso da risolvere. Il primo episodio incomincia in bianco e nero, a Tokyo, un bambino viene rapito, non uno qualsiasi ma il figlio del capo della Yakuza (la mafia), un gioco da ragazzi per Sugar (Colin Farrell). Mentre assapora il whiskey arriva un’altra richiesta, da Los Angeles e riguarda una giovane donna, sparita anche lei.
Sugar è un cinefilo e il regista Fernardo Mereilles, uomo di cinema, sguazza felice nei noir di fine anni 40 e primi 50. Il grande caldo, Diritto di uccidere, Solo chi cade può risorgere e perché no Hitchcock (La donna che visse due volte). Tra Fritz Lang e Billy Wilder, un’immagine del western che ribaltò le regole del genere (spoiler, Johnny Guitar di Nicholas Ray) o l’accenno a una commedia di John Cassavetes (Minnie e Moscowitz). Sugar è un misto di Bogart e Ford, sfreccia per Hollywood con la sua corvette blu, cercando di mettere insieme i puzzle della misteriosa scomparsa di Olivia Siegel (Sydney Chandler), l'amata nipote del leggendario produttore Jonathan Siegel (James Cromwell). Anche lui, come i suoi antenati, ha un passato oscuro che grava sul presente.
Un senso di malinconia e solitudine aleggia sul personaggio, divorato da demoni interni (Djen, la sorella scomparsa, i tremori che lo posseggono), unica compagnia il cane Wyler, ereditato da un senzatetto che ha aiutato. Sugar parla allo spettatore e insegue ogni pista e tutto diventa sempre più confuso, Olivia è stata davvero rapita o è scappata via? Il padre sostiene che non è la prima volta ed è colpa della droga, l’ex, Melanie (Amy Ryan), rockstar alcolista, racconta che Olivia era pulita, aveva appena festeggiato due anni di sobrietà. Le relazioni tra padri figli e mogli sono appannate, a volte tese. E andando avanti il nostro eroe si ritrova messo in mezzo in un’intricata trama di bugie, segreti e cadaveri. Sugar ripete “Non mi piace fare male, non amo la violenza, sono qui per osservare e fare rapporto”.
A chi? Gli indizi ci sono, Ruby ( Kirby Howell-Baptiste ) l’amica che lo protegge e lo istruisce gli dice: “Avevi promesso di prendere una pausa dopo Tokyo, e lui ammette che non può fare a meno di essere coinvolto perché Olivia gli ricorda Djen, che non è riuscito a salvare. Ruby insiste che dovrebbe lasciar perdere, la missione è un’altra. Sugar è affascinante, parla moltissime lingue, ha un cuore enorme, e uno strano metabolismo che gli permette di assorbire quantità di alcol impensabili. Ha un’inclinazione per il rischio che minaccia di far saltare la copertura per lui, Ruby e amici (l’associazione internazionale di poliglotti). I nemici sospettano che Sugar & co. siano spie, un’ipotesi interessante. La verità però è un’altra e la luna sembra volerci suggerire ben altre cospirazioni. In apparenza è un noir thriller, con un detective molto speciale (lo scopriremo solo alla fine), che a differenza dei colleghi non ha una femme fatale da nascondere: lo scheletro nell’armadio è quasi impossibile da immaginare. Oltre a essere un grande omaggio al noir, la storia creata da Mark Protosevich contiene un ingrediente estraneo al genere, un’idea seducente che dopo i primi episodi si sveste di orpelli e tempi morti. E quando lascia Colin Farell libero di raccontare la sua versione, allora giganteggia, diventa corpo e anima della serie. Tutto finisce, anche se te lo aspetti.
Nei film, come nella vita. Non per lui però.