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Stranger Eyes - Foto Grace Baey - Credits Akanga Film Asia
Guardare. Ed essere guardati.
C'è un momento incredibile, rivelatore, in Stranger Eyes di Yeo Siew Hua (primo film di Singapore in gara per il Leone d'Oro nella storia della Mostra di Venezia): uscendo dal commissariato, la nonna della piccola bambina scomparsa viene osservata dalle telecamere di sicurezza all'interno dell'ascensore. Con lei che, a sua volta, osserva da dietro una sconosciuta mentre guarda il proprio smartphone.
È in questo continuo slittamento tra il guardare e l'essere guardati che la riflessione di Stranger Eyes riesce a farsi strada tra le pieghe di una vicenda serrata e coinvolgente: dopo la misteriosa scomparsa della propria bambina, una giovane coppia inizia a ricevere strani video e si rende conto che qualcuno ha filmato la loro vita quotidiana, persino i momenti più intimi. La polizia mette la casa sotto sorveglianza per tentare di sorprendere il voyeur, ma la famiglia (nonna compresa) inizia a sgretolarsi a mano a mano che i segreti si svelano sotto lo sguardo attento di occhi che li osservano da ogni parte.
Da La finestra sul cortile a L’occhio che uccide, passando per Niente da nascondere di Haneke, il cinema non ha mai smesso di farci sentire osservati e, allo stesso tempo, di metterci nei panni di chi osserva: Yeo Siew Hua (classe 1985) effettua uno scarto ulteriore, creando depistaggi continui e, per farlo, si serve di un pregresso narrativo reso possibile solamente grazie a quegli occhi estranei che hanno osservato, filmato, registrato - ma da quanto? e perché? - la vita quotidiana della famiglia della piccola Bo, bambina sparita in un parco giochi in quel breve lasso di tempo, due o tre minuti, che il padre aveva smesso di... guardarla.
Stranger Eyes - che arriverà in Italia grazie a Europictures - parte dunque in un certo modo, illudendoci che al centro di tutto ci sarà quella misteriosa sparizione e la successiva indagine per ritrovare la bambina, dirottando poi verso altri lidi, tra l'ossessione di chi - incuriosito da alcuni comportamenti sospetti - inizia a "spiare" la vita altrui (ad emergere sarà un quadro a dir poco sordido...) - e la morbosa curiosità di chi (noi spettatori) finirà per ritrovarsi ad osservare colui che osserva. Per ritrovarci, verso metà film, nuovamente in quel parco giochi: la bambina e il padre sono lì, il voyeur è seduto su una panchina. Ma è un'altra falsa pista, un altro momento "superfluo", un punto d'osservazione che servirà ad anticipare l'ennesima svolta del film, con gli osservati che diventeranno osservatori. E in tutto questo, che fine ha fatto la piccola Bo? Ogni immagine può dirimere in maniera netta, definita, il dubbio tra verità e menzogna?
"Cosa significa esistere come mera immagine da percepire? Vediamo le persone come qualcosa di più di semplici modelli o tipi, riconoscendone la piena umanità con capacità d’azione, storie personali e fantasie?", si chiede il regista, che ragiona anche sugli attuali sistemi di sorveglianza diffusi in ogni parte del mondo: "In un piccolo stato insulare come Singapore, dove non c’è via d’uscita dalla rete di sorveglianza, osservare ed essere osservati diventa un rituale quotidiano. Con un’elevata densità di popolazione e una sorveglianza pervasiva, il moderno paesaggio urbano ci trasforma in testimoni involontari delle vite degli altri, con tutte le conseguenze del caso. Ancora più affascinante è chiedersi in che modo osservare gli altri rifletta le nostre azioni e le percezioni di noi stessi. Dopotutto non possiamo cancellare ciò che abbiamo visto".
E con la stessa fluidità con cui chi guarda diventa guardato ci si può tranquillamente trasformare da persone perbene a criminali. Basta una telecamera a immortalarci. A catturarci.