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Relatos salvajes
Apertura alare, passeggeri e crew su un aereo, che progressivamente capiscono stanno lì per una ragione: chi quale fidanzata, chi quale professore di musica, chi quale compagno o professoressa di scuola, sono tutti incappati nelle loro vite in Gabriel Pasternak, che li accusa indistintamente di avergli rovinato la propria. Ebbene, Pasternak è in cabina di pilotaggio, a terra i genitori si rilassano in giardino…E' il prologo, anzi, il primo episodio di Relatos Salvajes (Wild Tales e da noi Storie pazzesche) dell'argentino Damian Szifron, prodotto – tra gli altri – da Pedro Almodovar. E lo si capisce bene, subito: sembra uno spin off meno gaio degli Amanti passeggeri questa ouverture, con la sola differenza che qui si ride di più.Secondo episodio, una cameriera si ritrova a servire l'usuraio che ha costretto il padre al suicidio: la cuoca propone veleno per topi con uova e patate fritte, ma spunta pure un coltellaccio…Ancora, sembra di stare nel Grindhouse di Rodriguez e Tarantino con un fighetto (Leonardo Sbaraglia) che dalla propria Audi tuona “Contadino!” (stile I vitelloni...) e fa il dito a un guidatore che non gli facilita il sorpasso: una gomma si buca, lo splatter è escrementizio ed esplosivo…Arrivano le bombe e un ingegnere bombarolo, Bombita (Ricardo Darin), con la storia seguente, che parte dalla demolizione di un palazzo, passa per la rimozione di un'auto, attraversa una festa di compleanno mancata e termina in prigione, previa vendetta…Il palato si fa ancora più amaro con l'episodio successivo, che verte intorno a un pirata della strada che ha falciato una donna incinta: è il figlio di un ricco padre padrone, e il domestico, chissà, forse può prendersi la colpa. Ognuno, e ogni cosa, ha un prezzo, e che prezzo? Infine, si va a nozze con Romina e Ariel, ma la prima scopre l'infedeltà del neosposo: che fare? Caos, finché morte non li separi…Quante frustrazioni, quanti dolori, quanti inconvenienti nella vita moderna: Szifron punta lì la camera, accostando gli episodi come tessere di un collage dark comedy. Si ride tanto all'inizio, poi sempre meno, con l'agro a mangiarsi ogni dolcezza, forse pure l'”e vissero felici e contenti”: si stigmatizza una società in deflagrazione, in cui il potere è un sistema oscuro ma performativo, i desideri sabbia nell'ingranaggio della realtà maligna.
Pessimismo cosmico dal sorriso spianato, l'ironia lancinante, lo humour nero come l'inchiostro di una sentenza a vita, eppure, non tutto torna: nonostante il fil rouge tematico, questi episodi stanno insieme con lo sputo, quello corrosivo di Szifron, si fanno penetrare dalla noia, perché l'unione non fa la forza: il collage vale meno di qualche sua tessera, se non di tutte (la più debole è quella con Darin).