A Parigi, nel decimo distretto, c'è la Scuola di La Grange aux Belles che comprende anche la cosiddetta classe di accoglienza. Qui l'insegnante Brigitte Cervoni fa di tutto per insegnare l'uso parlato del francese a 24 studenti, tra gli 11 e i 15 anni, provenienti da 24 diverse nazionalità. In un ampio microcosmo, alcuni riescono già ad esprimersi in modo soddisfacente, per altri la lingua è il primo passo verso l'integrazione.

Iniziata la carriera di regista nel 1993 come assistente, tra gli altri, di Iosseliani, Kieslowski, Tavernier, Julie Bertuccelli realizza una decina di documentari, tra i quali si ricorda Benvenuti ai Grandi Magazzini sulla vita quotidiana alle Galeries Lafayette. Primo film nel 2003, Da quando Otar è partito, poi nel 2009 L'arbre girato in Australia in inglese con Charlotte Gainsbourg protagonista. Qui e oggi, ora, il ritorno alla realtà, alla vita vera, ad un presente che nella Francia del Terzo Millennio significa soprattutto l'inevitabile convivenza tra culture diverse, l'esigenza a livello didattico di trovare e trasmettere una formula soddisfacente per far arrivare gli elementi basilari del francese come terreno di accoglienza senza trascurare troppo quelli del luogo di provenienza.

"Ho avuto una gran voglia -dice la regista- di scoprire cosa succedeva in una classe d'accoglienza. La classe di Brigitte era perfetta: con tanti paesi diversi rappresentati e caratteri e talenti così diversi e significativi (...) Mostro forse un luogo protetto e ideale, un'utopia in azione ma mostro anche un piccolo microcosmo dove l'energia della speranza può fare dei miracoli, così come la fiducia e l'accoglienza riservata a questi ragazzi".

Trovata la prima inquadratura (i ragazzi guardano verso la telecamera senza esserne schiacciati), la regista procede lungo una scrittura di estrema semplicità, alternando gli interni della classe con gli esterni dell'edificio. Ne deriva una sorta di diario a misura di adolescente, confessioni ora indecise ora perplesse, improntate ora alla gioia ora alla preoccupazione. Il pensiero corre ai rispettivi paesi lontani e a ferite forse non guaribili se non nell'ottica di un pensiero sul futuro difficile da immaginare. Si pensa a come saranno da grandi, alle strade che prenderanno e qualche brivido arriva. Anche se vivere a Parigi è già in parte una fortuna non da poco.

Lo sguardo della regista vuole proporsi come sostegno e aiuto. Il giusto ruolo del documentario per un film che fotografa la realtà e non rinuncia a qualche sogno