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Masaaki Sakai, Catherine Deneuve e Yutaka Takenouchi in Spirit World
Celebre cantante francese, Claire Emery (Catherine Deneuve) si interroga sul senso della fine, sulla perdita dei propri cari (una figlia morta in mare), sulla speranza che la morte possa arrivare “in silenzio”, senza passare per le dolorose vie del decadimento fisico, e mentale.
Da molto lontana dalle scene, sceglie di tornare con un’ultima tournée nell’amato Giappone, luogo dove è ricambiata da una nutrita schiera di appassionati. Alla fine del concerto, un altro straordinario successo, la donna muore improvvisamente dentro una taverna vicino l’hotel. E da quel momento la sua anima incomincia a prendere forma in un’altra dimensione, nel mondo degli spiriti, dove incontra Yuzo (Masaaki Sakai), un suo vecchio fan scomparso anche lui in quella settimana, uomo che prima di morire ha lasciato scritto al figlio Hayato (Yutaka Takenouchi) di riportare un oggetto all’ex moglie, stratagemma per far sì che si potesse ricongiungere con la madre andata via quando lui era ancora un bambino.
Ospitato nel concorso Progressive Cinema alla XIX Festa di Roma, Spirit World di Eric Khoo è un dramma fantasy che si interroga sul dopo, che esplora – per dirlo con le parole dello stesso regista di Singapore – “la scoperta dell’umanità nell’aldilà – oltre l’abisso che separa la morte dalla vita – dove troviamo ciò che resta delle anime, della redenzione, dell’amore e degli angeli custodi”.
Per farlo, non a caso, sceglie come luogo d’elezione il Giappone, cita apertamente l’Obon, antica tradizione di origine buddista per onorare gli spiriti dei propri antenati, divenuta via via una festa dove si celebra la famiglia, e si muove tenendo costantemente in bilico – anche in maniera abbastanza fascinatoria – la tripla dimensione del presente, del rimosso e dell’ipotetico.
Il filo che le unisce è naturalmente dato dalla musica: Deneuve la pop star (la diva francese non è nuova a misurarsi – e bene – anche con il canto), Yuzo il musicista, il figlio di lui ora regista ma nato dal rapporto del padre con la cantante della band che animavano negli anni ’60. Ed è una passione che travalica il confine tra il qui e l’aldilà, in questo altrove dove è possibile non solo incontrarsi, ma anche parlarsi – e comprendersi – parlando lingue differenti (come Claire e Yuzo, che dialogano senza problemi lei in francese e lui in giapponese) e, perché no?, non solo osservare chi è ancora in vita ma indirizzarne amorevolmente l’esistenza.