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Marina Vlady in Spira mirabilis
La “spirale meravigliosa” - Spira mirabilis come venne definita dal matematico Jackob Bernoulli - è una spirale logaritmica il cui raggio cresce ruotando e la cui curva si “avvolge” intorno al polo senza però raggiungerlo mai.
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Massimo D'Anolfi e Martina Parenti (L’infinita fabbrica del Duomo), guardando a questo simbolo di perfezione e di infinito, cercano in diversi luoghi del mondo di catturare la tensione dell’uomo verso l’immortalità. Tensione che, appunto, conduce alla spirale meravigliosa: il tentativo di accettare e allo stesso tempo superare i propri limiti. Senza ricorrere a particolari didascalie, i due registi spaziano tra il fuoco (Leola One Feather e Moses Bring Plenty, una donna sacra e un capo spirituale, e la loro piccola comunità Lakota che da secoli prova a resistere di fronte a una società che li vuole annientare) e l’aria (Felix Rohner e Sabina Schärer, due artigiani di Berna e titolari della PANArt, coppia di musicisti che ha inventato lo hang,
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particolare strumento idiofono composto da due semisfere appiattite in acciaio temperato), l’acqua (Shin Kubota, scienziato e cantante giapponese che studia l’incredibile Turritopsis, una piccolissima medusa capace di rigenerarsi più volte e per questo immortale) e la terra (il processo di continua rigenerazione a cui sono sottoposte le numerose statue del Duomo di Milano): il tutto contrappuntato dalla quintessenza delle cose (l’etere aristotelico), nella persona di Marina Vlady, che dentro a un cinema fantasma scandisce il viaggio attraverso alcuni passi (rivisti) de L’immortale di Borges.
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È un cinema alieno quello di D’Anolfi e Parenti, che assume sembianze a tratti indefinite e che abbraccia forme inabituali (proprio come lo strumento “costruito” da Rohner e Schärer, che alle prime sembra davvero un ufo): un oggetto volante non identificato, lanciato sullo schermo e in grado di compiere traiettorie spesso indecifrabili, capace di portare in superficie, ingrandendole, forme di vita microscopiche o, allo stesso tempo, di osservare l’invisibile svelando ciò che normalmente rimane celato.
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Un “moto (d)a luogo” che dal particolare si apre progressivamente all’universale: il percorso (e di conseguenza la visione) non è semplice, il dubbio che possa risultare un film di non facile fruizione è alto, ma è allo stesso tempo indubbia la grande suggestione data da immagini (anche di ricerca, private, antiche), suoni e rumori, insieme alle bellissime musiche originali curate dallo stesso D’Anolfi. Una spirale meravigliosa, appunto: purtroppo per pochi.