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Spider-Man posseduto
dal Simbionte
Promette di essere il maggiore incasso mondiale del 2007. Solamente in Italia, da martedì 1 maggio, arriverà in oltre 900 copie. L'attesa per questo Spider-Man 3 - annunciato da tempo come il migliore della "provvisoria" trilogia firmata Sam Raimi - si sgretola di fronte ad un film che avrebbe dovuto fare sfaceli e che, invece, lascia quel riconoscibile sapore amarognolo dato dall'insoddisfazione. Che fosse un'opera altamente spettacolare, persino inarrivabile dal punto di vista tecnico, era possibile immaginarlo e doveroso aspettarselo (indiscutibili le vette raggiunte per le scene di azione ipercinetiche, da standing ovation la "nascita" e le "manifestazioni" a dir poco dirompenti dell'Uomo Sabbia/Thomas Haden Church): oltre 300 milioni di dollari per il budget più alto nella storia del cinema, qualcosa come 1000 persone impiegate per la realizzazione delle sequenze più impegnative e per la gestione degli effetti speciali e visivi, ancora una volta affidati al genio della Sony Pictures Imageworks. A fronte di uno sforzo gargantuesco per mantenere elevato l'aspetto funambolico della pellicola è altrettanto evidente quanto, da un punto di vista strutturale, il lavoro di Raimi (tornato a scrivere con il fratello Ivan a quindici anni di distanza da L'armata delle tenebre) non riesca a salvaguardare quanto di buono espresso nel precedente episodio. Cosa che, quasi sicuramente, causerà non poca delusione tra i cultori più radicali del fumetto. La carne messa sul fuoco è davvero tanta: c'è l'arrivo del simbionte (entità aliena capace di impossessarsi anche psicologicamente delle creature ospiti) e la conseguente lotta di Spider-Man per far prevalere il lato positivo della sua personalità; il conflitto tra Peter Parker/Spider-man e l'amico Harry/Goblin jr.; la crisi del rapporto tra Peter e Mary Jane; la comparsa di Gwen Stacy (Bryce Dallas Howard), in realtà primo amore dell'Uomo Ragno, qui ridotta a semplice "diversivo". E infine la minaccia di due nuovi nemici: Flint Marko/Sandman e soprattutto Eddie Brock/Venom (Topher Grace): arcinemesi del supereroe (prende vita dalla cacciata del simbionte da parte di Spider-Man) che avrebbe meritato un film a parte e non la superficiale manciata di minuti che Raimi gli riserva. C'è talmente tanto che a risentirne sono l'equilibrio del racconto e il ritmo narrativo (abbastanza latitante), per non parlare dello spessore necessario, solamente accennato, che alcuni snodi e alcune figure avrebbero preteso. Si punta ancora una volta, e giustamente, sulle contraddizioni che investono la sfera caratteriale di uno fra i supereroi più sfaccettati dell'universo Marvel - costretto al bivio che lo porterà a scegliere tra vendetta e perdono - relegando però sullo sfondo le dinamiche e le profonde mut(u)azioni che intercorrono tra l'umano e il sovrumano di antieroi (Venom su tutti) che hanno segnato, da oltre vent'anni a questa parte, l'immaginario fumettistico mondiale. Curiosità: Stan Lee compare ancora una volta in un brevissimo cammeo, così come il produttore Grant Curtis (al volante del furgone portavalori); Bruce Campbell, attore feticcio di Raimi, protagonista de La casa e L'armata delle tenebre, è il grottesco maĩtre del ristorante francese.