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Il cinema muscolare americano degli ultimi anni può contare su due eroi. Da una parte c’è Dwayne Johnson, l’erculeo combattente che può sfidare contro bestie feroci e salvare il mondo in un pomeriggio. Dall’altra, Mark Wahlberg, altrettanto nerboruto ma più tozzo e credibile. Se Johnson è il rassicurante divo prediletto dalle famiglie, Wahlberg è il common man che incarna i sani principi della nazione, come conferma Spenser Confidential.
Al quinto lavoro con Peter Berg, l’attore rinnova l’adesione a questo tipo umano, un elettore repubblicano ideale: conservatore ma non reazionario, tradizionalista eppure aperto. Berg non è uomo di destra ma il suo cinema guarda a quell’area.
Spenser Confidential è il più debole e “facile” frutto della loro collaborazione finora piuttosto interessante (Deepwater e Boston – Caccia all’uomo su tutti). Sarà forse (anzi: certamente) perché distribuito da Netflix, il cui catalogo di produzioni originali, a parte qualche caso particolare, non si discosta molto dai direct-to-video degli anni Novanta.
Adattamento del romanzo di Ace Atkins, con protagonista il personaggio creato da Robert B. Parker (l’ex pugile, ex poliziotto ed ex carcerato Spenser, qui oggetto di netto restyling), è un action scanzonato pensato per l’intrattenimento domestico di pura evasione.
Diventato detective a Boston, Spenser indaga sull’omicidio di un suo vecchio collega, accusato di essere corrotto.
Alla pigrizia dell’intreccio, sopperisce la baraonda che Berg orchestra immaginando una sorta di musical: una sinfonia di scazzottate, l’auto che piomba nel locale mentre Spenser è minacciato da un machete, gli uccelli che volano annunciando l’arrivo dell’eroe.
Wahlberg gigioneggia nei panni (ma spesso se li toglie: ogni occasione è buona per sfoggiare i muscoli) del bravo americano che non concepisce il latte d’avena e non sa cosa sia iCloud. Non funziona molto l’alchimia con il compare Winston Duke, mentre Alan Arkin gioca come al solito in un altro campionato. Finale che presagisce un franchise.