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Una scena di
Sonetàula
"Un fratello vuole bene senza disperazione. E io sono disperato". In una stanza buia, illuminata solo da una piccola lampada ad olio, Zuanne Malune - detto Sonetàula - dichiara il suo amore a Maddalena, ragazza cresciuta in casa con lui ora promessa ad un altro. E quando, anni più tardi, ferito alla gamba, scende nuovamente dai monti per andarla a trovare dopo le complicazioni del parto, le offre la possibilità di aggiudicarsi i 2 milioni sulla sua taglia facendosi consegnare ai carabinieri. Lei rifiuterà, ma loro lo troveranno ugualmente. E' una gran bella pagina di cinema italiano l'opera seconda di Salvatore Mereu, che porta sullo schermo il romanzo di Giuseppe Fiori, Sonetàula, ambientato negli splendori e nelle asperità della Sardegna degli anni '40. Libertà di messinscena, ruvidità e genuinità regalata dagli ambienti e dai volti di attori non professionisti (tra cui il Giuseppe Cuccu di Banditi a Orgosolo) per un racconto che evita di scendere a compromessi (in primis con lo spettatore: durata impegnativa, film recitato interamente in sardo con i sottotitoli, nessuna musica a contrappuntare la narrazione), preferendo alla "spettacolarità" delle immagini la sostanza delle stesse, con picchi emozionali dati anche da momenti difficilmente dimenticabili, come l'incontro nei boschi tra Sonetàula - chiamato così "perché ogni colpo dato a lui faceva sonù e tàula, rumore di legna, come ad essere dentro una bara", educato dal nonno all'osservanza di un codice primitivo, cresciuto nell'attesa di poter vendicare il torto subito dall'amato padre - e il piccolo Angelino, figlio di un compagno bandito morto qualche anno prima. Girato cronologicamente e sostenuto da ben quattro direttori della fotografia, il film di Mereu - del quale è già pronta una versione televisiva, doppiata e con un montaggio più consono alle esigenze dei telespettatori - dimostra quanto, ancora oggi, sia possibile concepire un cinema sincero anche in Italia, lontano dalle logiche meramente industriali e dagli isterismi pseudoautoriali di chi non sa più cosa raccontare.