Solo un padre è un esempio di come si possa fare del buon cinema popolare anche in Italia. Certo il sentimentalismo è dietro l'angolo, alcuni caratteri sono appena abbozzati e la musica (dalla nuova hit di Giorgia all'Everybody Hurts dei R.E.M.) spesso sovrasta le immagini. Ma il timone di Lucini è più sicuro che in passato, e da I tre metri sopra il cielo degli esordi al bel romanzo di Nick Earls (Le avventure semiserie di un ragazzo padre) anche le sue letture sono migliorate. Qui si parla di paternità, di lutti, della necessità di affrontare i propri fantasmi, con un tono insieme serio e scanzonato (alla Hornby). Non era facile spostare la vicenda dalla calda e tropicale Brisbane alla grigia, industriale Torino. Invece il regista milanese - che rivela un inaspettato talento fotografico - vi coglie un'opportunità e gioca sulle rispondenze tra le luci, gli spazi e gli umori dei personaggi. Aggiungiamo che nonostante la presenza dei tanti comprimari - incantevole la donna angelo Diane Fleri - il film è interamente sulle spalle di Argentero, sorprendente come - nonostante l'espressività limitata, o forse proprio grazie a questa - riesca sempre ad aderire alle situazioni e al loro contenuto emotivo. Perfetto per alleggerire il melò e camminare sulla commedia in punta di piedi.