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Sofia è una giovane marocchina di Casablanca. Rimasta incinta, partorisce in segreto con l’aiuto della cugina, ma i genitori vengono ben presto a conoscenza del fatto che rischia di minare seriamente l’onore della famiglia, anche a causa della severità della legge marocchina che punisce con il carcere i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio.
Omar, un ragazzo proveniente da un quartiere povero, sembra essere il padre del bambino, ma il matrimonio riparatore che si prospetta contribuisce a svelare convenienze reciproche e verità meschine.
Il nume tutelare è Asghar Farhadi, ma l’opera prima della regista Meryem Benm’Barek è ancora ben lontana dal raggiungere l’equilibrio del maestro iraniano, perfettamente sospeso tra rigore della messa in scena e aderenza ai meccanismi narrativi in grado di far scattare l’identificazione tra personaggio e spettatore.
Sofia, nell’attenzione quasi chirurgica alla disposizione degli attori nelle inquadrature fisse e nell’adottare l’ormai sdoganata camera a mano nei momenti di maggiore intensità emotiva, soffre di un andamento schematico, da film a tesi, che soffoca l’emozione e si accontenta di lievi sberleffi, appena accennati, al mondo delle istituzioni e dell’ipocrisia perbenista che tanto vorrebbe criticare.
Premio per la sceneggiatura in Un certain regard a Cannes 2018.