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Avevamo apprezzato Sinister perché oltre a essere un buon horror , di quelli che fanno veramente paura, era anche un horror intelligente. Non succede spesso.
Scott Derrickson (regia) ed Ethan Hawke (produttore e interprete principale) avevano avuto la felice intuizione di far lavorare il film su più livelli: da uno puramente effettistico (i rumori, le apparizioni improvvise, le presenze inquietanti) a uno più profondo (l'unità di una famiglia messa in crisi dalle fragilità di un padre alcolizzato e ossessionato dal proprio lavoro) fino a un livello subliminale e riflessivo (era un film horror che diceva quanto fosse pericoloso vedere film horror).
Una stratificazione che sfortunatamente si perde nel sequel, operazione puramente derivativa che ricicla l'idea di partenza per lavorare solo - e male - sul primo livello, quello dell'effetto.
Nella casa in cui si era già consumata la tragedia dell'originale ritroviamo una donna (Shannyn Sossamon) con i suoi due figli, in fuga da un padre (e un marito) violento. I ragazzini sono uno timido fino all'eccesso e l'altro tutto suo padre, ovvero stupido e violento. Toccherà al primo trovare in cantina i famigerati 8mm che attestano l'influenza del Bughul (lo spirito maligno che prende l'anima dei piccoli) e all'altro restarne avvinghiato.
Di nuovo c'è che entrambi i bambini vedono e parlano con i loro coetanei già presi dal demonio, il che onestamente non ci è sembrata una grandissima idea: erano molto più inquietanti quando non parlavano. E poi a differenza del precedente, dove l'enigma veniva rivelato pian piano, qui sappiamo già tutto.
Tra i protagonisti ritroviamo anche il vice-sceriffo senza nome che si era occupato del caso nel capostipite. Altra scelta discutibile vista la penuria di fascino di James Ransone.
Produce manco a dirlo James Blunt, cui consigliamo un po' di vacanze.
Spiace trovare tra gli sceneggiatori Scott Derrickson che conferma dopo il pessimo Liberaci dal male la sua inquietante involuzione. La Marvel gli ha affidato Doctor Strange. Speriamo faccia in tempo a riprendersi.