Gli ultimi diecimila esseri umani rimasti sul pianeta vivono da molto tempo sottoterra, in un enorme silo che si allunga verso il basso per centoquarantaquattro piani. Fuori, in superficie, il mondo è invivibile: lo si può ammirare grazie a una telecamera fissa puntata sulla desolazione totale. Eppure Juliette Nichols (Rebecca Ferguson, anche produttrice), l'ingegnera meccanica costretta a uscire, non è morta stroncata dai veleni dopo pochi passi, come tutti quelli che l'hanno preceduta. Juliette ha scollinato, incamminandosi verso un imprevedibile fuoricampo lontano dal raggio d'azione del visore elettronico. L'hanno vista tutti, proiettata sui megaschermi delle sale mensa. E ora tutti sono in cerca di risposte. Anzi, della verità.

Dopo la sorprendente prima stagione andata in onda appena un anno fa, il creatore e showrunner Graham Yost sforna dieci nuovi episodi tratti dalla prima parte della cosiddetta "Trilogia del Silo" di Hugh Howey, amata dalla critica e best seller per il New York Times fin primi anni Dieci (Wool 2011, Shift e Dust 2013). Silo è ambientata in un mondo post apocalittico di cui i sopravvissuti non conoscono nulla del passato, se non quello che è accaduto più o meno negli ultimi decenni. Non sanno come fosse la Terra, non sanno cosa sia accaduto per rendere irrimediabilmente tossico l'ambiente in superficie, non sanno chi abbia costruito il Silo. Quello che hanno ben chiaro è che questo bunker verticale è l'unica alternativa possibile per vivere, e che il bene del Silo è il bene per tutti. Ma è veramente così?

Silo è una serie destinata a sollevare più domande di quante siano le risposte a suon di rivelazioni ben centellinate subito assediate da nuovi misteri da esplorare arricchendo l'aura mitica in cui è avvolta la fondazione del bunker e la sua stessa esistenza. È un viaggio claustrofobico e opprimente, con una regia sempre attenta a sottolineare l'angustia di spazio e aria e luce in cui quel che resta dell'umanità è costretta a sopravvivere, in perenne assenza di cieli, mari, uccelli, sole, montagne, spiagge, pioggia. Un mondo di cemento e metallo, al cui centro c'è la lunga scala elicoidale che collega tutti i livelli dell'enorme struttura, alimentata energicamente dal grande rotore sul fondo. I piani bassi sono abitati e vissuti da meccanici e manutentori, quelli alti dall'oligarchia al potere, ovvero sindaco, sceriffo e giudice. La ribellione è il più vivido terrore di chi comanda. Le leggi oppressive e liberticide non sono soltanto un atto di potere spietato per soggiogare, ma sono anche, per quanto feroci, realmente necessarie alla sopravvivenza. Soltanto il controllo totale garantisce la vita del silo, ma il controllo totale nulla può contro la fame di conoscenza e l'umana curiosità, anzi forse ne diventa motore primario. Abolire libri, musica, storia, cultura può essere dunque la via più veloce per provocare l'esigenza di scoprire altro, e magari di instillare il desiderio di uscire. Ma fuori del silo c'è soltanto morte. Però Juliette, in qualche modo, forse è sopravvissuta, e tanto basta per domandarsi se tutto quello che è stato dato per vero lo sia effettivamente, se chi detiene il potere e il controllo stia mentendo oppure no, e perché. Il seme della ribellione è ormai germogliato e i cittadini vogliono risposte. E premono per uscire. A guidarli ritroviamo gli ex colleghi di Juliette: Shirley Campbell (Remmie Milner), Deegan Knox (Shane McRae) e la geniale Walker (Harriet Walter, già in Succession, Ted Lasso, The Crown, Downtown Abbey). Sul fronte opposto il neo-sceriffo Paul Billings (Chinaza Uche) il suo nuovo vice Hank Murphy (Billy Postlethwaite) e naturalmente il sindaco Bernard Holland (Tim Robbins), quest'ultimo tra i cattivi più viscidi e manipolatori visti negli ultimi tempi. Menzione d'onore per le macchinazioni politiche e l'opportunismo a Robert Sims (Common) e sua moglie Camille (Alexandria Riley), coppia assetata di potere dagli echi scespiriani. Nelle stanze dei piani superiori, complotti, avvelenamenti, omicidi e falsi suicidi sono strumenti praticati oltremodo, spesso con piacere personale, talvolta con lacrime e dolore, ma mai messi in discussione. Una sorta di corte europea dei bei tempi andati, senza balli né sfarzo.

Silo 2 @ Courtesy of Apple Tv+
Silo 2 @ Courtesy of Apple Tv+

Silo 2 @ Courtesy of Apple Tv+

Laddove la prima stagione univa all'azione un efficace approccio implacabilmente lento tanto negli svelamenti più inaspettati quanto nel fornire informazioni basilari, questo secondo capitolo si rivela sicuramente ancora più ricco di azione ma nel complesso piuttosto differente, nonostante riprenda esattamente dal grande cliffhanger che chiudeva il primo: Juliette è viva, e scopriamo con lei che oltre la collina, invisibile all'occhio elettronico della telecamera, c'è l'ingresso di un altro silo, apparentemente abbandonato e identico all'altro. Gli episodi seguono Juliette nelle sue scoperte e contemporaneamente le vicende che si susseguono all'interno del silo dopo la sua uscita. Una scelta obbligata dai romanzi da cui deriva, ma non sempre ciò che è efficace sulla carta lo è anche nella sua trasposizione. Yost è abile nel superare lo scoglio di una protagonista "in solitaria" potendo fare affidamento su Rebecca Ferguson, che ha la presenza scenica e fisica perfetta – ed è capace di essere affascinante anche da ferita. L'ingresso di un nuovo personaggio, il misterioso Solo interpretato da un impeccabile Steve Zahn, aggiunge sfumature liriche e vette drammatiche sconvolgenti. Nell'alternanza della narrazione tra i due sili, invece, a patire è un po' il ritmo, che fa apparire alcune situazioni inutilmente ridondanti. È comunque una stagione bellissima e appagante, che avviluppa lo spettatore grazie agli ambienti coinvolgenti e dettagliatissimi creati dallo scenografo Gavin Bocquet, e alle musiche ipnotiche di Atli Örvarsson, che definiscono splendidamente un mondo in cui la musica non esiste e i suoni della natura sono assenti.