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Un mondo che non c'è più. Che sta svanendo, allo scomparire delle ultime anime che lo popolano. E che poeticamente si aggrappano al racconto di Aleksei Fedorchenko, finalmente in sala dopo il passaggio in Concorso alla Mostra di Venezia nel 2010, dove vinse il Premio della Critica Internazionale, l'Osella per la miglior fotografia e il Premio La Navicella.
Ovsyanki (questo il titolo originale dell'opera, termine per indicare lo zigolo, una specie di passero comune in Russia, molto spesso confuso per canarino) è un film-rito, una sinfonia visiva che attraverso la parola si fa linguaggio, e mito: alla morte della moglie, Miron (Yuriy Tsurilo) chiede ad Aist (Igor Sergeyev) di accompagnarlo per compiere il rito d'addio (bruciare il defunto e disperderne le ceneri nell'acqua) secondo le tradizioni della cultura dei Merja, antica etnia del Lago Nero, regione del centro-ovest della Russia.
Scomparsi da secoli, i Merja e le loro tradizioni persistono nella realtà moderna dei loro discendenti, almeno fino a quando qualcuno ricorderà, rispolverando dall'oblio anche alcuni luoghi fantasma, il passaggio di esistenze sparite: è questo - nei confronti dello spettatore - il compito di Aist, anche voce narrante del film, personaggio-testimone (insieme alle altre due "anime silenziose" - Silent Souls - gli zigoli in viaggio con lui e Miron) in grado di riportare a galla, letteralmente, le uniche tracce che questo popolo ha lasciato. Nei nomi dei fiumi, in primo luogo, e in quella straordinaria commistione di tre elementi, Amore, Morte, Acqua, che accompagnano in modo trascendente il passaggio, la dipartita, la speranza di continuità: Fedorchenko - che prosegue la personale ricerca sulle etnie dell'ex URSS iniziata con Children of the White Grave - chiede al cinema di accogliere l'essenza dell'oralità e custodirne il mistero (anche per questo sentiamo di perdonargli l'eccesso di voce over), il cinema risponde e regala uno straordinario componimento per immagini, capace in soli 75 minuti di catturare, annegandolo dolcemente, lo sguardo dello spettatore.