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Sieranevada di Cristi Puiu
Sieranevada di Cristian Puiu, in concorso l'anno scorso a Cannes 69, è uno di quei film che ti aspetti giusto ai festival. Lungo quasi tre ore, questo interno familiare rumeno girato con pochi dilatatissimi piani sequenza, sempre mantenendo l'unità di tempo e di luogo, è un tour de force impegnativo per i suoi formidabili attori ed estenuante per gli spettatori.
Lo spunto è il funerale del vecchio capofamiglia (che non vedremo mai) e la riunione di figli, fratelli, cugini e nipoti nella casa dove il morto riceverà l'ultima benedizione del prete. L'uomo di Dio tarda, il cibo che dovrà essere servito secondo l'usanza si fredda.
Nel frattempo Puiu ci presenta meglio i suoi personaggi. Il clima è conviviale ma non troppo. Comincia a surriscaldarsi portando in superficie tensioni mai risolte. A tenere banco sono di volta in volta una vecchia zia nostalgica del comunismo che irrita la nipote più giovane di fede monarchica; un nipote infelice fissato con le teorie complottiste post 11 settembre, un'altra che si presenta a casa con l'amica ubriaca e vomitante, un marito fedifrago che vorrebbe il perdono della moglie, i tre fratelli (due maschi e una femmina, quest'ultima madre di una bimba di pochi mesi) che si punzecchiano senza ferirsi mai sul serio e la vecchia madre, tra l'incredulo e il rassegnato dinnanzi al trambusto scoppiato in casa sua con il corpo ancora caldo del marito.
Il tono affettuoso e la straordinaria vividezza delle scene (Puiu ci fa stare li' con loro, tenendo sempre la mdp ad altezza del volto) sottolineano la cifra autobiografica del materiale, sistemato da una sceneggiatura dal meccanismo quasi perfetto e di indiscutibile autenticità. Anche l'improvvisazione degli interpreti gioca un ruolo altrettanto importante per rendere questo quadretto familiare così vero.
Se la famiglia è il cuore del film, la credenza (qualunque cosa essa significhi: da Dio alle verità ufficiali del governo) è il tema sotterraneo. Fosse durato mezz'ora di meno non si sarebbe offeso nessuno. Ma Puiu lavora attraverso la durata perché sa aspettare che le cose vengano a lui, e a noi. E il suo sguardo sulle diverse generazioni della società rumena, così cangiante e diversa da come siamo abituati a pensarla (oggi ci si sposta all'estero per tenere una conferenza universitaria, non solo per cercare fortuna), lascia il segno.