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Si vive una volta sola
Il professor Umberto Gastaldi (Carlo Verdone), chirurgo internista vocato all’oncologia, e la sua formidabile équipe, l’assistente Corrado Pezzella (Max Tortora), la strumentista Lucia Santilli (Anna Foglietta) e l’anestesista Amedeo Lasalandra (Rocco Papaleo): a unirli l’amicizia, ché si vedono fuori tanto quanto in sala operatoria, ma anche un privato lontano anni luce dal prestigio professionale. Sono donne e uomini sull’orlo della crisi esistenziale, che cercano di scongiurare e dissimulare ricorrendo agli scherzi, anche cattivi, sopra tutto ai danni di Amedeo, la vittima designata, il proverbiale capro espiatorio.
Tra una visita al Papa, con relativa pernacchia a mezzo stampa servita ad Amedeo, rimozioni di automobili e carte di credito occultate, i quattro tirano a campare, ma se è vero che Si vive una volta sola quanto potrà durare?
Scritto dal regista con l’abituale Pasquale Plastino e Giovanni Veronesi, il film segna il quarantesimo di Verdone dietro la macchina da presa – da Un sacco bello del 1980 viene la cistifellea papalina… - e dopo Benedetta follia (2018) conferma il trend positivo: Carlo rivendica la lezione di Germi, ma come non pensare al Monicelli di Amici miei, tra scherzi e zingarate?
Qui si scivola verso Sud, verso la Puglia, dove Umberto ed equipe troveranno nuove geometrie relazionali, sveleranno verità inconfessabili e troveranno, in fondo, mutuo soccorso: Si vive una volta sola, ma non da soli, grazie a Dio.
Non mancano per fortuna battute ad alzo zero, da “Io co’ ‘sto culo c’ho fatto il picco d’ascolti” licenziata dalla figlia soubrette del professore, Tina (Mariana Falace) a “Quasi quasi me faccio lesbica” della Foglietta, da “Tina, ma io posso parlare con un culo?” dello stesso Verdone a “per fatte fa’ ‘na scopata con David Bowie” indirizzato ancora da Verdone a Tortora, che scartavetrano il bon ton del nostro cinema ultimo scorso, orfano delle scurrilità dei cinepanettoni e del cinismo scasciato delle commediacce che furono.
Qui, complice il palese affiatamento tra i protagonisti, tutti in forma, il trivio si accompagna al risvolto amaro di un privato inappetente, inconcludente, molto cornuto, poco realizzato: non solo l’amato camice – è il suo primo chirurgo… - Verdone indossa anche, alla soglia dei settant’anni, i panni della nostalgia per le occasioni perdute, il futuro sempre più scorciato, le amicizie che non tengono.
Se il coté amicale/triviale è intatto, il secondo a voltaggio, eh, esistenziale è gravemente compromesso dal product placement, eccessivo anche per i già eccessivi standard Filmauro: tra accappatoi e masserie, bollicine e auto, più che un film sembra un centro commerciale.
Insomma, Si vive una volta sola e tocca monetizzare, ma anche al profitto dovrebbe esserci un limite: ne va non solo della credibilità, ma della fruibilità stessa del film.