PHOTO
Il cuore, la musica, e soprattutto il fiume. Sembra di essere tornati ai luoghi di Carlo Mazzacurati, al fienile e alla pianura che di recente abbiamo abbracciato in Il grande passo di Antonio Padovan. Il vero protagonista di Si muore solo da vivi è il Po, che accompagna le pene d’amore, che viene celebrato attraverso la voce di un eccentrico capitano di battello. Lui è il narratore, l’elemento surreale, il padrone del regno, il re della festa dall’anima anche un po’ felliniana. Bonariamente dispensa consigli, si propone come paladino delle band, fa saltare i pesci fuori dall’acqua, e accoglie anche Red Canzian (storico membro dei Pooh) mettendogli una chitarra in mano.
Che cos’è Si muore solo da vivi? All’apparenza può sembrare una classica commedia a “cuore aperto”, come il nome del gruppo capeggiato da Alessandro Roja. Ma l’opera prima di Alberto Rizzi ha ben altre ambizioni. Trova nel sogno i suoi punti di forza, strizza anche l’occhio in modo ironico ai bagni nel latte di Nuovomondo di Emanuele Crialese. Al posto dei salvagenti, ci sono due forme di parmigiano.
Toni leggeri, che si fanno seri quando si affronta anche il terremoto dell’Emilia del 2012. In un’atmosfera da favola, piena di incanto, quasi figlia di una dimensione parallela. La Bassa Padana illuminata di luci al neon, di lustrini festaioli. Roja all’inizio vive addirittura in una baracca in mezzo alla foresta. Per un attimo si potrebbe pensare di essere in una rom com americana, immersi nella Louisiana profonda. Si resta sospesi nel tempo e nello spazio.
Intanto gli anni passano, i musicisti non mettono la testa a posto e “seguono il flusso”. Con fare ozioso, ma anche sfortunato, Roja fa il mantenuto. Il suo obiettivo è riconquistare la bella Chiara, interpretata da Alessandra Mastronardi, mentre deve rimettere insieme la band. Alcuni sono maturati, come Neri Marcorè, altri hanno avuto una crisi mistica. E non è di certo facile trovare un equilibrio.
Si muore solo da vivi ha la grinta di chi si mette per la prima volta dietro la macchina da presa, le tinte di chi reiventa, vuole spingersi oltre, sceglie di mescolare più elementi per costruirsi il proprio mondo. L’emozione è forte quando Canzian abbozza qualche nota, ma il richiamo è anche ai giovani. In particolare quando Motta con La nostra ultima canzone fa da sfondo al nuovo incontro tra Roja e Mastronardi. Già il titolo è una provocazione, un gioco di parole, in un esordio che fa ben sperare.