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Taccheggi formato famiglia: il regista e sceneggiatore nipponico Kore-eda Hirokazu è partito dalla constatazione che “solo i crimini ci tengono insieme”. E ha messo davanti alla macchina da presa del suo nuovo film, Shoplifters, in concorso a Cannes 71 le frodi sulle pensioni e i genitori che obbligano i figli al taccheggio: “reati particolarmente osteggiati in Giappone, ma mi domando perché la gente sia così arrabbiata di fronte a queste infrazioni minori laddove c’è chi viola la legge più gravemente senza alcuna condanna”.
Ecco dunque Osamu (Franky Lily, era il padre disagiato di Like Father, like Son) e il figlio Shota (Kairi Jyo) far ritorno a casa dopo un furtarello al supermercato e imbattersi nella piccola, maltrattata e abbandonata Juri (Miyu Sasaki), prenderla con sé e presentarla agli altri membri della famiglia: sua moglie Nobuyo (Ando Sakura), la cognata Aki (Matsuoka Mayu), la madre Hatsue (Kiki Kirin). Pur povera, mal accomodata in una casetta di legno e un tot disfunzionale, la famiglia sembra felice, affiatata, affettuosa, ma sarà proprio così?
Non diceva forse Lev Tolstoj che “tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo”? Senza svelare inutilmente, e nocivamente, dettagli della trama, Shoplifters riconsegna il Kore-eda specializzato nelle geometrie variabili della famiglia, dalla sorellanza alla paternità (biologica e culturale), dai rapporti di coppia alla camera altezza bambino: quello che conosciamo e apprezziamo da tempo, insomma, capace di capolavori (Like Father, Like Son, 2013) o meno (Umimachy Diary, 2015).
Qui siamo sul secondo versante, ché se ci sono sequenze e interpretazioni – il bambino è bravissimo, e pure il padre – che toccano dentro e mettono allo specchio, nondimeno, il meccanismo narrativo è perfettibile: più di qualche inverosimiglianza, non elusa da un certo afflato fiabesco; più di qualche ellissi colpevole; più di qualche semplificazione nello scioglimento.
Insomma, non latitano simpatia per gli ultimi, discernimento valoriale – talvolta, si sa, il fine giustifica i mezzi, anche perché “le merci al supermercato non sono di nessuno”, predica il padre – e sensibilità di tratto, ma mancano risolutezza poetica e compattezza drammaturgica: chi li ha rubate?